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Vizio di forma

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su Vizio di forma

di NOODLES98
8 stelle

"Will your restless heart come back to mine On a journey through the past." canta Neil Young per ben due volte nella pellicola di Anderson. E anche: "Will I still be in your eyes and on your mind?" Domande che rispondono alle molteplici che compaiono nella mente dello spettatore frastornato dopo le due ore e mezza piene di indagini, colpi di scena improbabili, latte materno drogato, detective fascisti, Fratellanza Ariana, spinelli, eroina, dentisti spacciatori e evasori fiscali, culti capitanati da brutti ceffi con svastica in fronte (ma è un antico simbolo indu che significa "va tutto bene"), mazze da baseball, mariti resuscitati, ricordi scordati di un passato ancora più remoto di quello raccontato, ultime cene Da Vinciane con pizze al posto dei canonici vino e pane, ma, soprattutto, la fine di un'epoca mai del tutto iniziata. E' di questo che parla Vizio di Forma: non si è più liberi di farsi uno spinello in casa, magari sotto suggerimento di una tavola Ouija, di avere il proprio orticello, perché la cocaina, l'eroina, le droghe dei ricchi stanno prendendo il sopravvento, come una Zanna d'Oro che si erge imponente in mezzo alla città. Come una nave che scruta la riva, ma che mai attracca, il nostro eroe Doc Sportello si muove a tentoni in mezzo a nomi, fatti, eventi sconnessi e scollegati tra loro e neanche lui sa come il mistero si sia risolto e, soprattutto, se quel mistero sia mai accaduto. In preda ad un continuo trip, la realtà si mescola con la finzione tanto da eliminare svolte decisive per le indagini, come noi spettatori. 
Anderson filma con nostalgia un periodo storico già nostalgico e già fuori posto e fuori tempo massimo, rappresentato dal paranoico fattone e più in forma che mai Joaquin Phoenix, ultimo dei romantici, drogato dall'illusione dei tempi, innamorato del passato che si manifesta sotto le mentite spoglie di Shasta, sua ex fidanzata. Un angelo. Come Sortilège, figura di per sé insignificante, innalzata a narratrice onnisciente, sarcastica, malinconica e ironica. Come il film, derivato ma mai derivativo, figlio dei noir anni 40 (Il Grande Sonno sopra tutti, dal quale, come Il Grande Lebowski prima di lui, prende la trama incomprensibile) e di Altman (Il Lungo Addio e la già citata Ultima Cena), come i precedenti film di un regista che, su materia già vista come questa, riesce a diffondere e infondere una linfa vitale, ma, soprattutto, personale. E' così che ci troviamo davanti a lunghi piani sequenza mai invadenti (impara, Cuaròn) e quasi invisibili (il dialogo tra l'ottima Waterston e Phoenix è pazzesco ed esemplare), personaggi ripresi solamente dalla vita in giù, campi lunghissimi, e la pellicola volutamente "scaduta" e perciò rarefatta circonda ogni personaggio o situazione di un alone tragico, ma grottesco, divertente, ma disilluso. Certo, da metà in poi smette di essere confuso e diventa confusionario, perde leggermente in ritmo e in verve, si sfilaccia narrativamente. Diventa ridondante, ripetitivo, meno appassionante e coinvolgente, vittima del suo "vizio intrinseco". Ma è un noir, e più dell'intreccio contano i personaggi, e più dei personaggi conta l'atmosfera. E quella c'è tutta e ci riesce a far respirare il fumo di Sportello, a farcelo inalare e a farci "sballare", accavallando eventi, situazioni, strani e loschi figuri, riuscendo a farci ridere di una bambina distrutta dal latte infettato di eroina. Pochi registi sono ancora in grado di farci davvero vivere le loro pellicole.

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