Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Il mondo non si muove. Rimane lì, ad aspettare le nostre scelte. Spesso inutili, a volte disperate. La storia la facciamo noi, con i nostri tentativi di indurre la realtà a venire dalla nostra parte, con le buone o con le cattive, a ragione o a torto. Il cinema dei fratelli Dardenne ci parla di battaglie estreme, combattute entro i confini ristretti delle sventure personali, laddove si è soli di fronte a forze ostili: quelle degli altri che non capiscono, non vedono, non si preoccupano. Sandra, reduce da una lunga depressione, rischia di perdere il lavoro. Il titolare dell’azienda presso cui è impiegata, e che versa in difficili condizioni economiche, ha messo i suoi dipendenti di fronte ad una crudele alternativa: se non rinunceranno a percepire il premio di produzione, non ci saranno i soldi per pagare lo stipendio della donna, che sarà dunque licenziata. La questione è stata messa ai voti, con esito sfavorevole per Sandra. Ora le tocca cercare di ribaltare la situazione: dopo aver ottenuto, dal suo capo, l’annullamento della votazione, ha solo quarantotto ore di tempo per contattare uno ad uno i suoi colleghi, e convincerli a sostenere la sua causa. Ciò che accadrà, in quel drammatico weekend, saranno quasi esclusivamente parole: scarne, ripetute sempre uguali, pronunciate con fare incerto, destinate quasi sempre a cadere nel vuoto. La lotta per la sopravvivenza ci vuole così: disarmati, deboli, costretti a difendere i nostri diritti contro quelli di tutti gli altri, in una battaglia inevitabilmente impari, in cui siamo gli unici a scommettere sulla nostra vittoria. Il nostro compito si riduce, in fondo, a piazzare in maniera opportuna i nostri sì e no, ad accettare e rifiutare ciò che ci viene assegnato, a sperare, a seconda dei casi, che il nostro coraggio venga premiato, o che la nostra resa non sia punita troppo duramente. Sandra non può fare di più: si limita a chiedere, con semplicità, sempre allo stesso modo, piangendo di nascosto, perennemente assediata dalla voglia di mollare, di sparire, di farla finita. I personaggi come lei, che i due cineasti belgi amano condurre per mano attraverso le cupe avventure dell’esistere, si fanno avanti come onde timide, che continuano, nonostante tutto, a lambire le rive della sfortuna, augurandosi di poterne ammorbidire le frastagliature più acuminate. Il suo profilo è ruvido e freddo, tanto che solo a guardarlo si prova dolore. Eppure, nelle anse del suo serpeggiante cinismo, può esserci posto per uno spunto di positività, al quale aggrapparsi con tutta l’anima. Sandra è il gingillo tremante che penzola attaccato a quel ramo, la futile testimonianza di una possibile salvezza. Resiste con struggente tenerezza, quel suo grazioso poco, sospeso sopra un baratro popolato di gente che pensa anzitutto a sé. Ce la mette tutta, ma non diventa un’eroina. Non vince e non perde. Non cambia nulla, né si rende memorabile. Alla fine la ritroviamo ancora lì, piccola come prima, coerente con il suo seducente ed innocuo desiderio di pace ed invisibilità.
Deux jours, une nuit è stato selezionato come candidato belga al premio Oscar 2015 per il miglior film straniero.
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