Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Più che la cospirazione sono la paura e l’eccesso di prossimità, forse, che possono spiegare per quale motivo Marion Cotillard non ha vinto la palma al Festival di Cannes 2014 con questa interpretazione. Gambe magrissime, seno lieve, ansia a tavoletta, nell’ultimo film dei fratelli Dardenne è una sorta di icona europea del dramma del lavoro (ma anche la rappresentazione di una potente fobia). È nei panni di un’operaia che è stata assente un anno, per depressione, e ora la fabbrica in cui lavora, che ha scoperto, a causa della sua assenza, di poterne fare a meno, propone agli altri operai un referendum: volete un premio di produzione (mille euro) o siete disposti a rinunciarvi per permettere a lei di continuare a tenere il salario? O l’uno o l’altro. La sottile crudeltà del capitale, traveste un atto di sadismo con una votazione democratica. La Cotillard, assistita da un marito che non molla neanche quando lei lo maltratta ingiustamente, ha poco meno di un weekend per convincere, porta a porta, la metà più uno dei suoi compagni di fabbrica. Ce la farà? Il lavoro dei fratelli Dardenne, che nel cinema non hanno meno tenacia di lei, mostra innanzitutto quanto sia difficile parlare agli altri e tentare di convincerli di qualcosa di giusto quando nessuno sembra poter rinunciare all’equivalente di un anno di acqua ed elettricità. Unici alleati della protagonista: lo Xanax, bottigliette di acqua naturale e un’amica del cuore. Dire come va a finire sarebbe offensivo. Il film, girato in tempo reale e camera a spalla (come tutti i titoli dei registi belgi di La promessa e Rosetta) ha una tensione inarrestabile frantumata da una scena in macchina in cui tutti cantano insieme (perché al cinema si canta così spesso in macchina e nella realtà è molto più raro?) e da piccole esplosioni di humour che a Cannes hanno suscitato risate liberatorie. In ogni caso, non ha un finale prevedibile. Due giorni, una notte è soprattutto una sonda un po’ scioccante in un occidente ridotto a livelli di solidarietà ed empatia dello stesso livello di un villaggio del neolitico, ma è Marion Cotillard il vero effetto speciale: tra rassegnazione e combattività, dignità e rabbia, resa e riscatto, somiglia troppo alla vita come è fuori dai film per non continuare a pensare a lei anche dopo un po’ che è finito.
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