Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Se già con i precedenti Il matrimonio di Lorna e Il ragazzo con la bicicletta, il duro cinema di denuncia dei Dardenne aveva fatto trasparire qualche smagliatura rispetto alla loro consueta bravura, quest'ultimo lavoro non si discosta troppo da un raffreddamento del tutto interno alla storia, riguardo alla definizione e al coinvolgimento dei suoi personaggi e al conseguente riverbero sul pubblico. Non è del tema portante del film che si tratta, anzi lo sguardo dei due registi belgi è lucido e attento come non mai sui nervi scoperti dei meccanismi sociali che dominano scenari e problemi attuali come quello del lavoro, la cui importanza sembra poter sostituire ogni altro valore...Una delle caratteristiche forti del cinema dei Dardenne è l'implacabile messa a fuoco di ciò che solleva, coinvolgendo il metro di giudizio dello spettatore, costringendolo a verificare dentro di sè l'effettiva importanza su cui sente di entrare in profonda relazione, uno dei loro strumenti più efficaci è stato quello di mettere in gioco personaggi non troppo lineari, talvolta disturbanti, altre volte costretti a dure prove di revisione interna dei propri comportamenti. Da La promesse a Rosetta, a Il figlio, un mondo infarcito così come deve essere di contraddizioni, di ferite interiori, di debolezze e di frustrazioni che i personaggi solidamente umani cercano di lenire con una nuova dignità. Sandra, la protagonista interpretata da un'eccellente Marion Cotillard provvista di canotta d'ordinanza, è reduce da una depressione che l'ha tenuta lontana dal lavoro per un pò di tempo, il suo datore di lavoro costringe i suoi colleghi con una messa ai voti di scegliere se mantenerle il posto o ricevere in cambio del suo licenziamento che porterà ad un incremento del loro orario, un bonus di mille euro. Nonostante l'esito scontato, Sandra ottiene caparbiamente di rifare la votazione però con a disposizione due giorni del fine settimana per andare a convincere i colleghi a votare per lei. Chiunque parteciperebbe al gioco di trasportare la situazione nel proprio ambito lavorativo, ma è qui il punto di rottura della vicenda. A differenza delle altre storie con cui spiegano la crisi della nostra società, i Dardenne forzano la loro visione, diventa unilaterale sfiorando,( e mi spiace dirlo per chi come loro detiene un vero e proprio marchio di fabbrica non solo per il modo e la tecnica di rappresentazione che ha fatto scuola ma anche per la forza morale che alla fine delle loro storie si erige come uno dei rari baluardi a cui appigliarsi) una programmaticità di maniera, quasi ricattatoria verso il giudizio del pubblico. Se non si sottolinea una certa imperfezione morale della protagonista, una messa in discussione dei suoi comportamenti, che tuttavia viene evidenziata ma troppo debolmente per non suscitare in automatico qualsiasi tipo di simpatia e di solidarietà nei suoi confronti, si dovrebbe palesare con rigore le sfumature del mondo altrui, quello delle famiglie dei colleghi interpellati che nelle intenzioni dovrebbero costituire la nuova classe sociale dei lavoratori sopravvissuti, dei fortunati che hanno nelle loro mani il destino di Sandra. Anche su questo fronte non ci si sofferma troppo, i contrasti e le discussioni che la richiesta della donna hanno generato non vengono considerate, se non offerte con una superficialità di facciata che corrisponde alla realtà ma che la macchina da presa dovrebbe poi andare a scovare dietro il sipario quotidiano. Così definendo bene chi è buono e chi non lo è, si riduce lo spessore ideologico della vicenda, ci si concentra unicamente sul personaggio di Sandra privato della dignità e disprezzato ma con la quale solidarizziamo incondizionatamente. Brevi note sulla trama del film dopo Cannes riportano che "arriva dritto al cuore", sicuro che è così ma dopo cinque minuti. E il resto?
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