Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Si può essere "di parte" su un regista? (in questo caso non è solo uno, ma sono due fratelli, la coppia di autori più rigorosa e intransigente del cinema contemporaneo). I Dardenne continuano a raccontarci storie di precarietà lavorativa, di una guerra tra poveri per conservare un posto di lavoro e un magro salario, di una giovane madre caduta in depressione che deve supplicare i suoi colleghi per essere reintegrata e teme anche lei di "cadere in un buco nero", esattamente come Rosetta, ma il loro universo poetico rimane intatto, la loro cifra stilistica sempre riconoscibile, la loro ricognizione nei mali della società odierna sempre appassionante. Non era facile costruire un film di stampo episodico in cui si ripete più di dieci volte la stessa scena e la stessa supplica di Sandra ai colleghi, pur in contesti ambientali differenti, ma il fatto che la progressione narrativa resti credibile e priva di forzature attesta ancora una volta il grande talento dei registi belgi. Se proprio vogliamo, non siamo ai livelli eccezionali de Il figlio o de L'enfant perché qualche raccordo narrativo appare piuttosto frettoloso, ad esempio il tentativo di suicidio risolto in poche scene e poi archiviato in maniera sbrigativa, ma il finale è tutt'altro che scontato, l'urgenza morale che sottende l'opera omnia dei due fratelli compensa ampiamente un rischio di schematismo denunciato da una parte della critica, ma che io non ho avvertito in maniera limitante (storie di un aut-aut come quello che viene esposto nel film non riempiono forse la cronaca quotidiana molto più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere?). Lo stile rimane scarno e privo di orpelli e si avvale di fluidi piani-sequenza, ma l'uso della luce, come già in Le gamin au velo, è più disteso e sereno rispetto alla cupezza dei primi film. Marion Cotillard si integra perfettamente nel loro universo, è una presenza dimessa, umile, sofferente come in "De rouille e d'os", piange e si dispera, ma senza mai strafare, senza inutili sottolineature che sarebbero estranee alla direzione bressoniana dei Dardenne: dopo questa performance la ritengo ancor di più una grande attrice e non solo una splendida diva. Fabrizio Rongione torna nel ruolo di un marito amorevole e preoccupato del benessere della sua Sandra, e gli altri interpreti sembrano rubati alla vita autentica (ma nel finale, in un ruolo odioso, riappare anche l'altro attore feticcio Olivier Gourmet). I Dardenne raccontano la solidarietà fra morti di fame in maniera più convincente di un Ken Loach, che negli ultimi film si è un po' troppo adeguato alle aspettative del pubblico, e il loro monito sui guasti della società globalizzata resta ancora di stringente attualità. Cinema prezioso, in poche parole.
Voto 8/10
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