Regia di Jean-Jacques Annaud vedi scheda film
Semi-autobiografico. In altre parole, metà della storia è vera, l'altra metà è inventata. Qual'è la metà vera? Ovviamente, quella più banale. Molte pellicole hanno questa genesi. Il film è valido, il punto di forza sono gli incredibili panorami di questa regione settentrionale della Cina che confina con la Mongolia, scenari incredibili e particolari, con caratteristiche uniche, inconfondibili. La vicenda è ampiamente prevedibile, molto simile a tante altre già viste in passato in omologhe pellicole, e questo toglie sicuramente interesse alla visione. La direzione di Jean Jacques Annaud è un po' compassata, a tratti affettata, in certi punti quasi pasoliniana, e non è un complimento. C'è un po' di romanticismo, alcuni luoghi comuni, qualche forzatura e un vago sentore di muffa, in fin dei conti non siamo ad Hollywood e un po' di coraggio in questo senso non avrebbe nuociuto, anzi sarebbe stato più che giustificato e accettato. La lingua cinese qui è abbastanza dura, secca, perentoria, primitiva, nulla che ricordi le sinuose cantilene delle annunciatrici cui ero abituato, comunque con i sottotitoli una manciata di parole mi sono restate, adesso so come insultare qualche mio conoscente. Il momento più significativo: "Salire sul dorso di una tigre è più facile che scendere".
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