Regia di Jean-Jacques Annaud vedi scheda film
Cina, 1967, Rivoluzione culturale: Chen Zhen e Yang Ke sono fra la moltitudine di studenti spedita nelle remote profondità del paese, incaricati di insegnare mandarino a una piccola comunità di nomadi mongoli. Sei mesi dopo, i due appaiono perfettamente assimilati al nuovo ambiente, soprattutto Chen Zhen, che, nel frattempo, ha sviluppato un’ossessione per i lupi che pattugliano la regione e una venerazione per il capotribù, l’anziano e saggio Bilig. Nel romanzo semi-autobiografico di Jiang Rong – Il totem del lupo, bestseller che in Cina ha insidiato i record di vendite del Libretto rosso – Annaud ritrova i suoi temi preferiti: l’incontro/scontro tra uomo e natura, l’osservazione e la resa cinematografica del comportamento animale. Li impacchetta in un blockbuster ecologista che si vorrebbe per famiglie (ma qualche crudeltà sulle bestiole, più suggerita che mostrata, potrebbe traumatizzare i piccini) e sulla strada abbandona ogni sottigliezza: didattico e didascalico, L’ultimo lupo soffre personaggi abbozzati, per nulla approfonditi e incastrati dentro archetipi banali e manichei, appiattisce gli spunti problematici e le asprezze politiche del libro (e forse qua c’entra il budget cinese), dimentica sullo sfondo il potente conflitto storico-culturale tra modernizzazione e usi antichi. Di contro, il film è affollato di sequenze naturalistiche mozzafiato, tra paesaggi di bellezza acerba e dolorosa e scene di caccia ansiogene e vivide. Può bastare?
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