Regia di Leonardo Pieraccioni vedi scheda film
Cosa sarebbero le feste natalizie senza la presenza del mitico Babbo Natale. Un pensiero che deve aver attraversato la mente di Leonardo Pieraccioni, ex Golden Boy del Box Office italiano, ora relegato a posizioni di rincalzo dalla ciclica ascesa di nuovi pretendenti. Infatti se è vero che nella sua storia cinematografica il commediante toscano ha incarnato la quintessenza di una gioventù senile, o se volete di una maturità fanciullesca ed un po' scialacquona, mai è mancata in dote ai suoi personaggi un certo Savoir-Faire in grado di raddrizzare qualsiasi avversità. Un alter ego dispensatore di felicità e buoni consigli, a cui Pieraccioni consente un ulteriore balzo verso quella che potrebbe essere la sua definitiva santificazione. In "Un fantastico via vai " la generosità assume dunque contorni degni di un moderno Santa Klaus, legittimati in parte da un definitivo salto della sponda. Arnaldo Nardi, il protagonista del film, e' infatti un uomo di mezza età, con moglie e figli a carico, talmente innamorato della propria routine famigliare da provocare una crisi coniugale. Messo al bando dalla moglie, stufa di cotanta ordinarietà, Arnaldo trova asilo presso un sodalizio studentesco del quale diverrà presto una sorta di padre putativo. In questo modo l'Arnaldo Pieraccioni avrà modo di occuparsi dei problemi dei ragazzi, ricomponendo incomprensioni famigliari e titubanze sentimentali, arrivando persino a far cambiare idea a genitori razzisti, ed afflitti da una mentalità vecchio stampo. Insomma un salvatore della patria alle prese con i problemi di una gioventù piaciona e modaiola, che Pieraccioni ritrae secondo una visione del mondo edulcorata da qualsiasi tipo di realismo, ed all'insegna di un'atmosfera favolistica, scandita dalla bellezza levigata dei ragazzi, della cui indubbia fotogenia il nostro non nasconde di andare fiero, con una dichiarazione ("ma lo sapete che siete giovani e belli") che da sola potrebbe costituire il manifesto estetico di un film di spudorata apparenza.
Nulla di male, perché il problema dell'ultimo Pieraccioni non risiede nei contenuti, perennemente uguali a se stessi fin dalla prima apparizione, ma nel modo in cui il regista li propina. In questo senso "Un fantastico via vai" rappresenta un passo indietro rispetto ad un cinema che tale si voglia chiamare. Se nei film precedenti c'era stato un tentativo di organizzare una storia con narrazioni dal respiro più ampio, in questo caso assistiamo ad un'inversione di tendenza, testimoniata dalla chiamata alle armi di amici vecchi e nuovi, pronti ad arricchire la strenna natalizia. Così per fare spazio alle comparsate dei vari Massimo Ceccherini, Giorgio Panariello, Maurizio Battista ed Enzo Iachetti, il film evita di approfondire le ragioni che consentono di far progredire la storia. In questo modo la semplicità dell'intreccio si colora di una superficialità che finisce per rendere inconsistente tutto e tutti. Ed e' vero che Pieraccioni ci mette il solito garbo, ed una bonomia resa ancora più evidente dalla correttezza del ruolo, ma non si scappa dalla sensazione di un cinema spezzatino, in cui la mancanza di idee viene sostituita da una via vai, e proprio il caso di dirlo, di facce comiche che ripetono stancamente se stesse. Così se il partner di Vanessa Incontrada si limità a fare il verso ad i suoi spot televisivi, e Ceccherini è un detective trasformista che fa concorrenza ad Arturo Brachetti - nel film lo vediamo imbalsamato a mò di statua, e poi mimetizzato come cespuglio tra i cespugli- è la new entry di Gennaro Battista, nel ruolo del collega fedifrago e sessuomane, a rimanere imbrigliata in una rete di situazioni talmente poco plausibili da impedire qualsiasi colpo di coda. Impermeabile a qualsiasi suggestione contemporanea che non sia quella del gaudio quieto vivere, "Un fantastico via vai" non sa cos'è la crisi - economica ma neppure esistenziale- e mette in fila una serie di valori (la famiglia, la tolleranza, l'amore e l'amicizia) da catechismo del libro cuore. Un trend suggellato da un congedo che sembra affidare alle nuove generazioni il testimone della speranza e della voglia di fare, con una sequenza a metà tra l'onirico ed il surreale che fa il verso ad una nuova palingenesi. Si rimane con un pugno di mosche, e con un sorriso che nel frattempo si è tramutato in espressione d'imbarazzo.
(pubblicato su ondacinema.it)
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