Regia di Damiano Damiani vedi scheda film
Damiani esordisce nel lungometraggio con questo bel “giallo sociologico”, scritto con sapienza da lui stesso con Zavattini, e diretto con piglio sicuro e diritto all’obiettivo. Pur scegliendo un veicolo popolare, l’intento del regista è quello di far passare una critica alla società italiana del tempo e alla mentalità borghese che la domina(va?). Ponendosi nella scia, seppure con mire meno metaforiche, del Germi (che infatti interpreta anche qui il commissario di polizia) di “Un maledetto imbroglio”, tratto da Gadda, ed occhieggiando a Simenon, Damiani mette l’accento sulla disgregazione della famiglia cittadina, sul sempiterno impulso dato dal denaro alle azioni umane, sulla necessità borghese di salvaguardare le apparenze a discapito della verità. Un film più coraggioso di quanto forse poté sembrare all’epoca; un sassolino gettato nello stagno dell’Italia democristiana che al cinema soffocava nella bambagia della censura il dissenso, preso invece a scelbiane manganellate sulle piazze.
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