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Son of a Gun

Regia di Julius Avery vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Son of a Gun

di alan smithee
5 stelle

Finito sotto l'ala protettiva del boss dei boss, un pivellino brillante ma inesperto, appena incarcerato, assurgerà al ruolo di braccio destro di uno dei più pericolosi fuorilegge australiani. Un thriller che promette bene, ma scivola nella convenzionalità nonostante l'impegno dell'ottimo e sgradevole Ewan McGregor, in fondo un "buon cattivo"

Le premesse, per quanto non proprio originali, c'erano perché questo thriller australiano potesse risultare coinvolgente e divertire.

Ewan Mc Gregor ottimo "cattivo", duro e spietato gangster e rapinatore di banche numero uno di nome Brenton Lynch che prende sotto protezione, durante la sua lunga detenzione, un giovane ladruncolo, JR (interpretato dall'attore in ascesa Brenton Thwaites), sveglio e brillante, seppur inesperto, finito in carcere a scontare sei mesi per un piccolo reato di truffa.

Le insidie della detenzione sono molte e il giovane sarebbe certamente incappato tra le grinfie sessual-masochistiche di una gang di detenuti piuttosto attenta a coltivarsi i giovani nuovi arrivati. Ma Lynch si schiera dalla parte della prossima vittima sacrificale.

Naturalmente le mire del gangster non sono di natura umanitaria, ed infatti il boss coinvolge il ragazzo, poco dopo la sua programmata fuoriuscita dal carcere, in un'azione premeditata, studiata nei minimi particolari per fare evadere il delinquente dalla sua lunga detenzione.

Pertanto assieme i due organizzano un nuovo colpo, ed il ragazzo conosce e finisce per innamorarsi di una avvenente intrattenitrice di un locale frequentato dalla banda di Lynch (la neo-oscarizzata Alicia Vikander).

Il film si perde un pò troppo appresso i cliché del film carcerario, e sulla storia d'amore dall'avvio stentato e poi zuccheroso che caratterizzerà il rapporto tra i due giovani.

Il migliore sul campo resta Ewan Mc Gregor, che dà vita ad un personaggio duro e a tratti sgradevole, l'unico veramente delineato come merita nel contesto di una storia dai contorni piuttosto abusati e di certo non nuovi.

Finale a sorpresa, si fa per dire in quanto ugualmente ed inevitabilmente intuibile, con fastidiose scene chiarificatrici utili solo a rafforzare una soluzione raffazzonata e organizzata troppo "a tavolino".

L'australiano Julius Avery dimostra dimestichezza per il genere, una certa sicurezza nell'organizzazione delle scene, ma nessuna autorialità o verve innovativa per un thriller che risulta più corretto e convenzionale che incalzante o dirompente.

 

 

 

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