Regia di Andrew Mudge vedi scheda film
THE FORGOTTEN KINGDOM fuori e dentro al film si presenta come un vero e proprio simbolo di collaborazione empatica e generosa tra antico e moderno, tradizione e innovazione, "sentire" africano e sentire occidentale. Un ibrido sorprendentemente riuscito in cui temi tipici della cultura africana trovano un'espressione emozionante ad opera di un rispettoso "sguardo esterno" e di conseguenti scelte artistiche di sintesi.
Atang è un ragazzo rabbioso e solitario che vive a Johannesburg ("Joburg" la chiamano i locali ) ma è originario del Lesotho. Quando suo padre muore lascia un ricco funerale pagato e l'ultima volontà di essere sepolto nella sua terra d'origine. Per quanto nutra del risentimento nei confronti del padre che l'ha portato in Sudafrica e affidato a un orfanotrofio a cinque anni, Atang decide di dar seguito al suo volere, non senza però togliersi la soddisfazione di cambiargli bara per intascarsi la differenza. Il soggiorno in Lesotho non ha un avvio felice soprattutto perché Atang mal sopporta le gentilezze e i continui elogi del padre da parte del prete della missione cattolica, ma anche per la sua difficoltà a comprendere e adattarsi a tradizioni che per lui non hanno alcun senso e valore. Poi però Atang trova conforto in Dineo, che è stata bambina con lui alla missione. Dineo fa la maestra ma è tornata a casa senza aver terminato gli studi in Sudafrica per prendersi cura della sorella malata di AIDS, visto che il padre non vuole nè vederla nè che sia vista dai vicini. Per la gente del luogo infatti i sintomi dell'AIDS sono il segno di una maledizione, una punizione per prostitute e individui promiscui. Nonostante la presenza di Dineo a scalfirne le durezze Atang è deciso a tornare a Joburg quando una serie di inconvenienti e "segnali" (tra cui l'apparizione fugace dello spirito di suo padre) ne deviano intenti e percorso dandogli il tempo di accorgersi che in realtà non vuole lasciare l'amica ritrovata. Quando torna a cercarla scopre che il padre ha trasferito l'intera famiglia là dove non potrà vergognarsi perché nessuno li conosce. Per raggiungere Dineo Atang deve ora intraprendere un viaggio a cavallo oltre le "montagne degli spiriti". Ad accompagnarlo ci sarà un piccolo orfano senza nome, sorta di guida spirituale allegra e arguta che dichiara d'essere "gli occhi delle nuvole nere che ti seguono in questo paese".
Il primo film ambientato in Lésotho e parlato in Sesotho (uno dei dialetti del luogo) è opera di Andrew Mudge, regista indipendente newyorchese al debutto nel lungometraggio. La storia in sé (scritta dallo stesso Mudge, che è anche montatore e coproduttore) non presenta eclatanti sorprese rispetto all'insieme di motivi che potremmo attenderci dal cinema africano. C'è lo scontro tra modernità e tradizione, il viaggio come percorso di risveglio interiore e rivalutazione della cultura di provenienza, le zone più povere e arretrate che si spopolano a beneficio delle grandi città (in questo caso uno stato a beneficio di un altro, ma essendo il Lesotho incastonato nel territorio sudafricano il meccanismo è lo stesso), la piaga non certo nuova dell'AIDS, che in Lésotho colpisce addirittura il 23% della popolazione. E poi gli aspetti più irrazionalmente superstiziosi ma anche la saggezza data da un'ancestrale simbiosi con il linguaggio della natura che rende più sfrangiata la linea di confine tra spiritualità che arricchisce e credenze retrograde (l'orfano senza nome dice ad Atang dopo uno sfortunato incontro con gli spiriti: "Vedi quant'è spietato questo universo quando non l'ascolti?" e per un attimo ci mette il dubbio che a volte lo scetticismo oltre a calpestare colpevolmente tradizioni millenarie possa perdere anche un modo di sentire "altro" ed essenziale).
I temi sono noti ma sono tutti elementi (parole del regista) suggeriti da un anno di approfondimenti e chiacchierate con la gente del posto. Ed è già in questa cura e rispetto per la verità altrui che si intravede il tatto particolare che consente a quest'opera di staccarsi dal compito risaputo, dalla compilazione ordinata e imitativa. La regia riesce ad essere il meno possibile invadente e a mettersi al servizio di ciò che natura e cultura hanno da dare. Mudge ha dichiarato di essersi ispirato a film come ANGELI ARMATI di Sayles, UNA STORIA VERA di Lynch e L'INIZIO DEL CAMMINO di Roeg. Gli spettacolari e inediti paesaggi, uno degli stimoli primari per la realizzazione del progetto, vengono ripresi senza enfasi o sfoggio di tecnica. In quasi tutti i frangenti prevale (volutamente, ipse dixit) la camera fissa e una regia invisibile. Al tempo stesso sono le capacità del regista di scuola occidentale a rendere più apprezzabili (chissà, forse soprattutto per le sensibilità occidentali...) certi passaggi narrativi, come i momenti emotivamente più sfumati affidati a immagini e musiche (non folkloristiche, scelta non banale e vincente) o come le parsimoniose incursioni nel campo spiritico messe in scena in maniera agile e suggestiva, abbandonando per un attimo la semplicità per servirsi di ellissi o di un montaggio più rapido. E direi che anche la sceneggiatura si giova di apporti tipicamente occidentali. Lo si nota ad esempio nella figura del piccolo orfano senza nome, suggestivo Virgilio che facilita il viaggio spirituale di Atang ma anche vera "spalla comica" che diversifica i toni e alleggerisce con un umorismo efficace e tagliente.
L'apporto registico può forse essere stato determinante anche per la compiuta riuscita di uno degli aspetti più sbalorditivi del film: THE FORGOTTEN KINGDOM infatti (devo dire inaspettatamente e insperatamente) è recitato in maniera splendida in primis dai due giovani protagonisti, entrambi provenienti dal florido panorama delle serie televisive sudafricane. Zenzo Ngqobe (Atang) ha già avuto modo di partecipare a produzioni importanti come BLOOD DIAMOND e IL SUO NOME È TSOTSI e regge l'intero film sempre in scena dando corpo a una trasformazione che passa da rabbia e diffidenza a un atteggiamento di riflessione, dubbio e scoperta, senza abbandonare il rigore anche nei momenti più commoventi. Nozipho Nkelemba (Dineo) invece interpreta con partecipazione assoluta alcuni dei momenti più intensi della storia (le lotte orgogliose di Dineo col padre, il rapporto con la sorella malata), ma l'attrice dimostra anche una splendida varietà di toni nel dar vita agli aspetti più affascinanti e calorosi con cui Dineo coinvolge Atang in un naturale percorso di cambiamento intimo.
È in questi due personaggi che risiede forse il senso più vero del film: il venirsi incontro, il cedere ciascuno qualcosa accompagnando l'altro verso la propria posizione, avvicinando così un presente troppo veloce e irruento a un passato per cui occorrono sensi acuti e guide esperte. E questo è anche l'atteggiamento che ha animato tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione di THE FORGOTTEN KINGDOM disponendosi a dare il meglio della propria esperienza mentre accoglievano quel che altre vite e altre terre avevano da offrire.
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