Regia di Andrés Rodríguez, Luis Rodriguez vedi scheda film
Ana non parla. È sorda e muta. Tutto il film è avvolto nella densa cortina di fumo che la separa dal mondo, così incomprensibilmente distante, così terribilmente indifferente ai suoi desideri. Non potersi esprimere e non essere ascoltata è la condanna a cui deve sottostare una giovane donna la cui presenza sembra impercettibile, come lo sono, per lei, i suoni e le parole che animano e spiegano la vita. Lei è fuori dal giro delle chiacchiere, delle confidenze, degli scherzi che strappano sorrisi, ed è invece immersa nel vortice che soffoca i lamenti ed imprigiona anche i pensieri. Nessuno sa che il patrigno abusa di lei. E nessuno la difende, quando sua madre la maltratta, o il datore di lavoro la rimprovera. La storia narrata da Luis e Andrés Rodríguez riempie lo sguardo di una luce densa e metallica, dall’aspetto liquido e grigiastro: un tiepido fiume di incredulità che si riversa su una realtà cinica ed impenetrabile, dove ogni gesto è circondato da un alone torbido. L’affettività è ambigua, presenta accenti animaleschi, ed appare lambita dall’ombra di una perversione inquietante e sconosciuta, che è sempre in agguato. È difficile far procedere il racconto, quando ogni evento è frenato dall’attrito prodotto da un’atmosfera carica di sospetto, rancore ed indeterminatezza. Dalla prospettiva della protagonista, gli altri personaggi appaiono come fantasmi: creature dai connotati vaghi, come i pochi tratti che riesce a disegnarne con le dita. Il volto della paura è uno scheletro, descritto da un cenno di sbigottimento: Ana continua ad indicarlo, nella sua maniera silenziosa, ma i suoi richiami cadono nel vuoto. Tutti, intorno a lei, scambiano quei segnali d’allarme per le manifestazioni incompiute di un essere mutilato, bizzarro perché incompleto, fremente perché insicuro. La nebbiosità di quella superficiale definizione è come un vapore malsano che impregna la scena; e gli autori lasciano che copra l’intero paesaggio, non prima, però, di avervi collocato dentro la materia concreta e solida del male. La vista è sfocata, ma l’oggetto osservato ha i contorni netti e primitivi della barbarie: Ana impersona questo contrasto brutale, che priva l’evidenza della sua naturale limpidezza, per renderla parte di un gioco sporco e senza via d’uscita. Questo film intreccia un’impossibile danza nella sostanza vischiosa dell’impotenza, della quale vuole mostrarsi pienamente consapevole: un proposito coerentemente perseguito, ma che si trasforma in un’insistente ambizione estetica, appesantita dalla lentezza e dall’uniformità del tono. I ripetuti tentativi di realismo sperimentale, nei quali gli autori continuano a cercare uno slancio liberatorio, non fanno che accrescere il generale senso di frustrazione, che finisce per investire la stessa sostanza artistica dell’opera. Brecha en el silencio è un grido lungamente trattenuto, la cui intonazione lirica, però, rimane forzatamente sottintesa: un’eco che prende eternamente la rincorsa, senza mai riuscire ad elevarsi e farsi voce.
Questo film ha rappresentato il Venezuela agli Academy Awards 2014.
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