Regia di Hans Petter Moland vedi scheda film
La vita tranquilla di Nils, addetto alla pulizia delle strade col suo potente spartineve super equipaggiato, è scossa dalla morte improvvisa del figlio, ritrovato cadavere su una panchina, apparentemente in seguito ad una overdose di stupefacenti.
Incredulo che il figlio possa mai essersi drogato, l'uomo intraprende da solo un'indagine in cui apprende presto che il motivo della morte del figlio è legato ad un furto di una valigia di droga ad opera di un collega del defunto, che ha coinvolto in qualche modo pure la vittima a sua insaputa.
In modo rozzo ma efficace, Nils ricostruisce tutti i passi, i gradini di una scala gerarchica che lo conduce ai vertici del traffico della droga in Norvegia, fino ad eliminare uno ad uno tutti i responsabili, diretti o indiretti, di quel barbaro omicidio.
“In ordine di sparizione” è un pulp movie appassionante e divertente che promette ciò che annuncia: presentare i protagonisti secondo l'ordine in cui questi vengono eliminati: dal nostro inconsolabile Nils, o dalla guerra tra cosche del narcotraffico che si crea con le prime uccisioni da parte del nostro padre addolorato e desideroso di vendetta.
La forza del film, furbetto e ironico, eccessivo e costellato di personaggi sopra le righe che sono una sana ironia deliberata riesce a far rendere digeribili, è data innanzi tutto dalla potenza espressiva di un paesaggio candido e fatato che fa da contrappunto ideale al sangue che si crea con la mattanza che nasce con la ribellione del nostro determinato e freddo protagonista. Ma anche il dialogo, a tratti irresistibile, aiuta a rendere digeribile un massacro che altrimenti sarebbe solo un conto alla roescia per un film pulp e triviale come tanti.
“Per me il dolore è solo debolezza che abbandona il corpo”, è la risposta fiera e battagliera del fratello di Nils, malato terminale di cancro, negli ultimi istanti di vita sotto la minaccia del boss tirato e ossessionato dai valori nutrizionali soprannominato “il conte”.
Oppure certi staffilate sarcastiche sul welfare, che come noto è la punta di diamante della cultura e dell'organizzazione dei paesi nordici, scandinavi in particolare: “Guarda il Portogallo, guarda la Spagna, per non parlare della Grecia o dell'Italia; l'Africa è alla fame, il Sudamerica fa schifo: in un posto dove c'è il sole, non c'è bisogno del welfare: raccogli una banana e sei a posto”.
O il sole, o il welfare insomma: una bella lezione di vita, che si rende seducente con le vedute innevate di montagne sinuose, di pianure ghiacciate che separano grattacieli intirizziti, di cascate potenti necessarie ed opportune per occultare cadaveri avvolti nella rete da pollaio, in modo che i pesci piccoli possano penetrarvi e cancellarne le tracce.
Stellan Skargaard buca lo schermo come sempre, con quel suo sguardo schifato di chi non vuole essere coinvolto; Bruno Ganz non gli è da meno nei panni di un boss serbo dai modi quasi infantili e capricciosi che lo trasformano da persona sensibile a sanguinario vendicatore. Ma non meno degno di nota è l'emergente Pal Sverre Hagen, ovvero il conte, re viziato e capriccioso del narcotraffico norvegese, colui che spende parole molto significative di disprezzo verso i rivali serbi (“scimmie balcaniche” è probabilmente l'epiteto più amichevole che gli esce di bocca), attento e maniacale nella cura della persona e del look, saggio dispensatore di consigli di “sopravvivenza sociale” al figlioletto troppo tenero che egli si accinge a strappare, almeno in parte, alle cure di una madre ed ex-moglie che tende (saggiamente) a portarglielo via.
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