Regia di Hans Petter Moland vedi scheda film
Film compatto, serrato, mai slabbrato, che dice quel che vuol dire con asciutta determinazione, senza per questo rinunciare a momenti di divertita ironia o, al contrario, senza dimenticare che ci sono cose molto, molto serie, su cui non si può scherzare.
Bianchissimo come le sue nevi perenni, sollevate con spruzzi altissimi dallo spazzaneve supertecnologico di ultima generazione di Nils (uno Stellan Skarsgard algido fuori e internamente devastato da dolore e rabbia), il purissimo mondo innevato della Norvegia a due passi dal circolo polare si macchia di rosso sangue, tanto ne esce a fiotti da teste mozzate, corone dentarie massacrate, nasi rotti e mandibole fracassate.
Un pulp norvegese, che di tarantiniano ha l’humor agghiacciante e la lucida follia, ma poi procede con rarefatta eleganza su binari tutti suoi e inconfondibili, In ordine di sparizione racconta una storia di padri e figli.
Sembra strano, ma alla fine della baraonda questo rimane, l’amor paterno.
Provando a dipanare a ritroso l’intreccio, ma senza nulla rivelare di questo thriller/action/gangstermovie con sfumature noir e piacevoli puntatine nel comic drama, restano in piedi tre storie di figli perduti (o in procinto di), padri rabbiosi gonfi di volontà di vendetta, due bande di gangster, una locale e l’altra di importazione balcanica (serba, si affretta a chiarire qualcuno a chi dice albanese) e il canonico traffico di cocaina utile a creare il casus belli.
Le uniche tre donne (due madri e una convivente extra comunitaria con un caratterino niente male) entrano ed escono dalla scena ben presto, ma come tutti i personaggi, anche i minori con particine ridottissime, godono di una caratterizzazione brillante, che li rende importanti complementi di un affresco globale, come i cagnolini che Tiziano infilava a pié di tela.
Il film gioca sui contrasti cromatici, il bianco e il rosso, aggiungendo il nero al punto giusto, con le piccole lapidi scure e le croci un po’ sbilenche di un ampio cimitero semisepolto dalla neve, ma abbastanza visibile dalla strada.
Di volta in volta, man mano che le vendette arrivano a compimento, appare una croce nera sullo schermo, di forma e qualità rigorosamente adeguate alla nazionalità del morto, con nome, cognome ed eventuale soprannome al completo (non manca neanche un nippo-danese, che però si fa chiamare “cinese”, con questo denotando la sua propensione al tradimento).
In ordine di sparizione, fino all’ultimo, Nils ne fa fuori parecchi, ma anche le due bande collaborano alla carneficina per via di equivoci scatenati dalla stranezza degli eventi.
Chi potrebbe immaginare, infatti, che dietro a tutto ci sia quel pacifico omone dallo sguardo buono, per giunta premiato dalla piccola comunità locale come cittadino dell’anno che, dice lui in voice over “… in queste terre selvagge apre un varco per la civiltà”?
In un bel crescendo rossiniano la strage culmina nell’ultima, segnata da una geniale modalità di esecuzione, tutta da vedere e in perfetta coerenza con l’ambiente circostante.
Poiché l’ultimo ad essere eliminato é anche il più cattivo (ma niente spoiler, il film va visto per capire chi é il più cattivo, ce ne sono vari in lizza per il primato) la scena si colora di una sua sacralità, sembrando un castigo divino che finalmente arriva dal cielo a pareggiare i conti.
Bruno Ganz, comprimario di Skarsgard, magnetico come al solito, é Papa, boss mafioso serbo quasi afono, ma capace di dirti all’orecchio la cosa che ti fa tremare.
Il resto del cast é perfettamente integrato e complementare, qualche pennellata al punto giusto ci parla di razzismo strisciante, di culto maniacale per l’applicazione di principi salutisti in singolare contrasto con l’intreccio mafioso legato alla droga, ambienti asettici stile Ikea si confrontano con barocche ridondanze di arredo balcanico, il freddo della neve si fonde al calore del sangue, all’amore per un figlio fa da contraltare l’odio per chi l’ha ammazzato.
Non ci sono gradazioni intermedie, a quelle latitudini.
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