Regia di Hans Petter Moland vedi scheda film
Suo figlio è morto. Overdose d’eroina. Ma Nils Dickman non ci crede. E passo dopo passo ricostruisce la storia di un omicidio, uccidendo uomo dopo uomo. In ordine di sparizione: perché così i personaggi vengono presentati. Schermo nero, croce bianca, (sopran)nome e cognome, un cartello dopo ogni morte. Un countdown verso la fine. Un film cimitero.
Abitato da personaggi che sono tutte figurine programmaticamente eccentriche (un capo clan elegante e salutista, ossessionato dall’educazione del figlio, un sicario nippodanese servitore di due padroni, criminali omosessuali che non vogliono fare coming out, un papa serbo incomprensibile e via seppellendo), il quinto film di Hans Petter Moland con Stellan Skarsgård carica le atmosfere spietate del giallo scandinavo sino al grottesco, ma tiene in equilibrio noir e farsa, empatia e parodia. È tutto un rotolare di maschere, lo spettacolo assurdo di un circo pulp efferato, che violenta i suoi corpi fumetto, smonta retoriche di genere e pregiudizi xenofobi, ma sa seguire anche il montar emotivo del suo protagonista.
Postmodernariato da anni 90 (aprire la bocca, dire: «Coen, Tarantino, Ritchie») banchetto balordo di dialoghi e battute trancianti (dell’Italia si dice: «Nei paesi caldi il welfare non esiste, non ne hanno nemmeno bisogno, gli bastano il sole e una banana e sono felici»), brutalità grafiche, digressioni ciarliere. Il tutto in un mondo crudele d’idioti. Un divertissement fuori tempo. Un cult istantaneo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta