Regia di S. Craig Zahler vedi scheda film
Bone Tomahawk è un particolare connubio tra western ed horror riesce nell'intento di divertire entrambi gli appassionati
Particolarissimo connubio tra western e horror questo Bone Tomahawk, esordio alla regia di S.Craig Zahler, è stato una piacevolissima sorpresa. Il cast inanzitutto è ricchissimo. Infatti troviamo un redivivo Kurt Russel, Richard Jenkins, Patrick Wilson e Lil Simmons.
L'incipit del film è prettamente horror, anche se l'ambientazione trasuda western da ogni poro. Qui, due banditi si ritrovano dopo aver trafugato e ucciso due viaggiatori in una specie di terreno sacro. La zona è parecchio inquietante, l'aria di morte si respira un po' ovunque. Il regista decide di mostrarci fin da subito la grande minaccia (senza nome e sarà senza nome per tutta la durata del film) di questi indigeni (cannibali). Una presenza la loro che per tre quarti del film proviene soprattutto da fuori campo. Sentiamo dei suoni, percepiamo dei passi ma la loro presenza fisica non viene rivelata fino alla fine della pellicola (e il che è un bene). Sul sonoro è giusto fare due parole in più: la musica extradiegetica è molto rara e si limita ad alcuni momenti.
Gran parte dell'intera colonna sonora è costituita da rumori naturali: il rumore degli zoccoli dei cavalli, il vento tra l'erba secca, il rumore degli spari e appunto lo strano suono che emettono gli indigeni. Un suono distintivo, una sorta di richiamo permesso da una sorta di mutazione genetica. Non comunicano a parole ma solo a suoni (non a caso le donne di questo clan sono cieche e possono solamente udire). La musica di contorno sarebbe stata solamente quindi un riempitivo e avrebbe smorzato la situazione.
Lo svolgimento della storia è classico: Dei personaggi A vengono rapiti dagli indiani e quindi dei personaggi B partono per salvarli. Quello che conta in Bone Tomahawk non è tanto lo sviluppo della storia ma la caratterizzazione dei personaggi. La parte iniziale del film fa uso dei tempi dilatati del western per introdurci questi personaggi. I dialoghi sono il punto forte del film e citano Tarantino e i Cohen in molti punti.
La discesa verso all'inferno dei personaggi (dal paesino di Bright Hope, nome di un ipotetica cittadina) è costruita tutta nel loro rapportarsi tra individui ma sopprattutto con l'ambiente circostante (che è onnipresente come in ogni buon western). Adesso non mi dilungherò troppo nel raccontare lo sviluppo, anche perchè è il film è veramente meritevole anche se nella parte finale (dove il film cambia registro e diventa quasi un horror) mi aspettavo qualcosa in più. La tensione è gestita in maniera magistrale e gli indigeni mettono veramente paura, si percepisce il pericolo ma si ha la sensazione che il tutto sia stato affrontato con (troppa) superficialità.
In definitiva, questo esordio è davvero convincente e riesce ad unire due generi: il western (cinema classico) e l'horror (cinema di genere). Però nonostante ciò non me la sento di consigliarlo a tutti (è più un prodotto di nicchia) ma solo a coloro che cercano un prodotto diverso dal solito.
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