Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
IL TRADIMENTO PER L'AMORE VERO
Romanzo Popolare è uno dei migliori film di Mario Monicelli, recentemente scomparso. Il film è forse quello che parla più dell'amore tra le pellicole del grande regista italiano. Il film si pone di diritto tra il filone à la commedia drammatica degli anni 70, pur parodiando questo decennio di rivolte operaie. Il protagonista è interpretato da un Ugo Tognazzi in gran forma e da una giovanissima Ornella Muti nel suo primo ruolo "spogliato"
Giulio Blasetti è un cinquantenne che sposa una ragazza non ancora maggiorenne, già conosciuta durante il battesimo di quest'ultima. Giulio lavora in una fabbrica e, durante una rivolta, un carabiniere viene colpito da un sasso da uno degli amici di Giulio. Così il carabiniere, Giovanni interpretato da un Michele Placido in stato di grazia, piano piano comincia a inserirsi nella banda capitanata da Giulio. Dopo la morte di una prozia di Vincenzina, la ragazza che ha sposato Giulio, suo marito va ai funerali che si terranno lontano da Milano. Intanto Giovanni comincia a corteggiare Vincenzina e, al ritorno a casa di Giulio, succede il finimondo.
Il film è una dichiarazione di amore verso il cinema degli anni 70 da parte del regista. Una dichiarazione forte e chiara a cominciare dalla solita frase che Giulio dice in gran parte del film
"Tanto siamo negli anni 70"
Non a caso anche il film è uscito negli anni 70 e fu uno dei maggiori successi in quella stagione. Gli anni 70 sono uno dei periodi più belli che l'Italia ha attraversato per quanto riguarda produzioni cinematografiche e questo film lo dimostra. Quel decennio è stato anche un decennio felice per la popolazione intera italiana. Oramai la guerra era finita da tempo e tutti erano contenti. Si trovava più facilmente lavoro e tutti erano contenti. Aver vissuto in quel decennio lo considero un pregio per quelli che sono nati nei primi anni 60. Al cinema si andava in tanti a vedere anche un film d'essai. Insomma è stato un bel decennio. Peccato che non ho avuto minimamente l'opportunità di viverlo. Cosa che mi sarebbe piaciuta molto.
Un forte senso di grandezza è presente nel film e quello che lo manifesta di più è il protagonista, Giulio, che dopo ogni volta che ferma il fotogramma si elogia a più non posso. Lo sguardo che emette è quello di un povero metalmeccanico milanese costretto a lavorare in una fabbrica che non paga molto e poco esigente, soprattutto con le vacanze. Il senso di grandezza lo manifesta per piacere suo o della moglie, quando sono felici, quando ridono insieme al loro bambino, Ciccio, figura molto presente nel film, da quando era neonato fino all'eta di otto anni si vede nel film. La grandezza viene influenzata anche dall'umore che il protagonista ha in quel momento. Se è in conflitto con la moglie non si elogia perchè non trova parole e viceversa quando è contento. Il suo carattere sembra forte, lo si può notare nella scena dove il carabiniere viene a casa e vuole portare in prigione un amico di Giulio per quella storia del sasso tirato in testa e, per molti motivi, Giulio riesce a cacciare il carabiniere con molte prove, anche molto astute. In verità Giulio possiede un carattere debole, non riesce a sopportare l'idea che sua moglie lo abbia tradito, così prova a tirare avanti, anche se è dura ma non riesce nel suo scopo. E allora qui ritorna il senso di grandezza che, se si mischia con il carattere debole che manifesta quando viene tradito, non ha praticamente valore nel suo modo di fare. Il modo di fare che ha Giulio è quello di manifestare involontariamente i propri rancori alla persona che gli ha fatto un torto, in questo caso la moglie che lo ha tradito.
Il tradimento che sembra non avere troppo effetto su Giulio invece si trasforma in qualcosa di oscuro che colpisce al cuore dello spettatore, dimostrando che il regista sa anche affrontare toni spettacolari e drammatici e non sempre e solo comici. Giulio sembra aver attutito il tradimento ma nella sua mente si immagina la scena di sesso tra la moglie e Giovanni in un quel posto lurido, senza profilattico e senza le dovute precauzioni. Inoltre si potrebbe immaginare un altro bambino che la moglie potrebbe avere da quello sporco carabiniere. Lo dovrebbe mantenere Giovanni eppure sembra avere più di un semplice senso paterno sia per suo figlio che per il (probabile) figlio che Giovanni dovrebbe avere da Vincenzina. Per sua fortuna alla fine non è successo niente.
Age e Scarpelli con Monicelli alla sceneggiatura potrebbero aver dato un diminutivo a Vincenzina appositamente per un carattere che sembra debole. Lei è tutto il contrario del marito. Anche se viene persuasa da GIovanni lei continua a tirare avanti. Non ha paura di dire tutto al marito della sua relazione con Giovanni. Affronta le situazioni con rigore e onestà senza tralasciare nemmeno un minimo particolare. La sua è una figura materna per filo e per segno. Non poi così disponibile con i propri figli purtroppo, anche perchè quando vuole uscire con Giulio lascia la propria creatura nelle mani dei vicini.
Il bambino è una figura che è più di un protagonista. E' un vero e proprio assistente. E' presente in tantissime scene e, anche se sembra più che altro assente per tutta la durata del film, i suoi pianti sono un segno di malaugurio per il futuro della famiglia. Il film si svolge tutto in quattro mura per così dire. Infatti le vicende si susseguono sempre dentro l'appartamento dove i tre vivono oppure all'interno di altre case oppure ancora dentro al palazzo intero. La lettera che Giulio riceve si scoprirà soltanto alla fine che era di Giuseppe. Giulio vede scritto alla fine "Firmato: un amico" e incolpa senza pensare i suoi amici che vivono nell'intero palazzo insieme a lui. Però anche Guseppe era un suo amico, o forse adesso ex, quindi lui non ha torto a scrivere "Un amico" però ha avuto torto a scrivergli quella lettera. Nel film oltretutto sono presenti tantissimi esempi di tradimenti. Secondo me quello più forte non è quello della moglie per il marito, ma di quello della falsa lettera scritta da Giovanni. Infatti quando Vincenzina che dopo lo sfratto era andata a casa di Giovanni, si era chiusa in bagno per nascondersi, così ha potuto sentire che la lettera l'ha scritta proprio il suo amante, Giovanni.
Il film si intitola Romanzo Popolare, infatti il film è una specie di storia raccontata con una voce fuori campo dai due protagonisti, con vari commenti da parte dei due. La spiegazione di questa scelta potrebbe essere un intero commento dei due che stanno per pubblicare proprio un romanzo. Oppure potrebbe essere semplicemente un lunghissimo sogno. Oppure un ricordo che hanno vissuto realmente i due. Monicelli non lo vuole far sapere e addirittura introduce una storia nella storia, raccontata dalla moglie al marito sul suo tradimento nei suoi confronti. La lentezza dei fotogrammi una volta fermati non dà fastidio e non aggiunge e nè toglie qualcosa alla storia, quest'ultima scorre lineare per buona parte del film. Le migliori scene rimangono quelle del racconto della moglie sul tradimento nei confronti di Giulio, la scena del ballo tra Giulio e VIncenzina, ma soprattutto quella di quando Giulio salva l'amico dal carabiniere che lo voleva ammanettare.
7 anni dopo i fatti sono quasi del tutto risolti. Giulio adesso gioca a bocce al circolo e qualche volta va a prendere suo figlio a scuola per portarlo semplicemente fino al tram poco lontano che lo porterà a casa. A casa intanto c'è Vincenzina che racconta la sua vicenda dicendo che ha avuto due relazioni con due uomini praticamente del tutto diversi ma che non facevano al caso suo, intanto continua a pensare a Giovanni.
Un intreccio narrativo complesso e perfetto è il punto forte del film di Monicelli che gioca a fare il duro nelle commedie drammatiche. E ancora mi viene da pensare a quell'interpretazione in chiave di lettura cinematografica da dare al cosiddetto Romanzo Popolare.
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