Regia di Luigi Zampa vedi scheda film
All’attivo del sottostimato Luigi Zampa c’è anche una trasposizione da Alberto Moravia, nella fattispecie La romana, che ha il volto meraviglioso e il corpo da maggiorata della bersagliera Gina Lollobrigida, che è bravissima nel passaggio ad un ruolo che è lontano da quello che lo rese celebre nel dittico dei Pane e amore. Il film gira ovviamente attorno a lei, sempre in scena, alle prese con una madre dispotica (l’ottima Pina Piovani) e una serie di uomini mascalzoni: prima c’è l’autista Gino (Franco Fabrizi: non stupitevi dell’iniziale bontà del personaggio, se chiamarono Fabrizi, abituato a ruoli di laido bastardo, c’era un motivo), poi il viscido funzionario di regime Astarita (Raymond Pellegrin), quindi il ben poco raccomandabile Sonzogno e infine il tormentato antifascista Mino (Daniel Gélin), che forse è il grande amore (impossibile).
Mèlo d’altri tempi che più nazionalpopolare non si può, è tra i risultati più buoni del grande artigiano del cinema medio Luigi Zampa, che in sede di sceneggiatura si fa assistere da tre nomi da infarto (Moravia, Ennio Flaiano, Giorgio Bassani: oggi sarebbe impensabile vedere al lavoro su un film tre premi Strega). L’interesse è tutto verso l’impianto sentimentale della storia, che funziona e coinvolge nonostante qualche cosa troppo meccanica (la metamorfosi della brava ragazza in donna di vita) e la voce off talvolta evitabile.
La maggior parte delle critiche si rivolgono alla poca attenzione nei confronti della rappresentazione dell’Italia fascista: è vero (a parte un cinegiornale, un cenno al lavoro di Astarita ed alcune cose nella parte finale), ma ci si dimentica che la Democrazia Cristiana impose il veto sulle storie ambientate durante il Ventennio e che La romana fu vittima di non pochi tagli di censura sia in sede di sceneggiatura che dopo. Resta, a distanza di quasi sessant’anni, un film a suo modo coraggioso (il ritratto della donna dissoluta e perduta nel cinema italiano non è roba di tutti i giorni) e, forse imprevedibilmente, “dalla parte di lei”: non è in fondo l’unica a resistere in un mare di tragedie, nonostante tutto?
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