Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Il tradimento di un padre e l’eco dell’atto all’interno della famiglia.
Enciclopedia delle mille sfaccettature della sessualità in altrettanti ambienti e situazioni sociali. Poco rassicurante apologo sulla società attraverso una famiglia disastrata, dall’alcolismo dell’instabile madre, alla chiusura di un padre nervoso, fino alla pacatezza di un figlio ignaro della mostruosità che sta sotto due figure come il padre e la madre.
Non un dialogo, gesti, cenni violenti o meno, fin dall’inizio la situazione familiare consiste nel mutismo più assoluto, lo stesso ripercosso in tutta la società. Musiche quasi inesistenti, atmosfere malinconiche, mugugni, versi, ringhi fino ad esplosioni isteriche pazzesche, inaspettate, brutalità spinte dalla repressione non solo all’interno della famiglia – dove la drammaticità è più accentuata – ma anche all’esterno dove ci si permette tutto o quasi. Quasi si fosse tornati ai primordi della specie, l’inerzia è data da ciò che più è recesso nel’animo umano, ciò di più animalesco.
L’importanza del pene, la perdita e la chirurgica riunione col corpo umano, le maschere insopportabili che solo sacrifici estremi possono dissolvere. Come si vedrà, non solo l’integrità fisica corrisponderà a quella mentale come non solo l’atto sessuale in sé sarà sinonimo di completezza. Niente è come sembra, la famiglia è forse più opprimente che vicina, il sorriso compiaciuto del figlio nel finale ne è forse la prova.
Apologo sulla solitudine, sulla società, sul rapporto personale delle persone rispetto alla società e rispetto a ciò che sono nel profondo, quasi a recitare fossero bestie, tutto prosegue sul filo della brutalità più estrema e provocatoria.
Temi forti, immagini anche, peccato queste non siano rese come forse il regista avrebbe voluto, siamo testimoni più che spettatori coinvolti, tutto passa sullo schermo in rassegna più che nel proseguo di una trama. Tanti spunti su cui ragionare, peccato sembra manchi un’anima.
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