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Moebius

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Moebius

di ed wood
10 stelle

Tre quarti di critica lo considera un Kim “minore”, stanco, già visto; qualcuno probabilmente comincerà a credere che il coreano sia un regista finito. Ebbene, per me “Moebius” è niente meno che un capolavoro. E’ il suo film più intenso, puro, straziante. Nessuna parola in 90 minuti di film; sesso e violenza come se piovessero; perversioni che paiono il frutto di una mente malata, ma che invece (ad aguzzare la vista e, soprattutto, ad aprire il cuore) si rivelano essere l’unica credibile “way of life”; rapporti carnali e familiari completamente reinventati. Insomma, pare essere una summa della poetica kim-iana, ma non è così. E’ un Kim senz’altro depurato dalle scorie retoriche e dal simbolismo insistito che aveva afflitto “Pietà”, così come dall’impellenza di trovare un epilogo necessariamente estremo ed eclatante ai suoi racconti (im)morali. Ma c’è dell’altro: in “Moebius” viene a mancare anche la consueta struttura circolare con piccole variazioni ad ogni giro (a “spirale”, in pratica) che costituisce la sua tipica concezione del Tempo (molto orientale, effettivamente), esplicitata nei vari “Primavera…”, “Soffio”, “Ferro 3”, “L’arco” etc…Ancora: vengono trascurati anche i consueti giochi di riflessi e le manipolazioni scenografiche che erano stati cifra stilistica prediletta, nonché fonte di bellezza e significato, nelle sue opere più ispirate. Di tutto questo arsenale espressivo, sono rimaste in “Moebius” solo le fondamenta: una vicenda macabra e paradossale (geniale sceneggiatura dello stesso Kim), raccontata con uno stile laconico privo di aggettivi, di forzature, di virtuosismi. Verrebbe in mente l’ascetismo di Bresson, filtrato e “orientalizzato” da Kitano, ma “Moebius” va oltre. E’ nitida trasparenza. E’ cinema puro che restituisce un senso di verità come e più che in una qualsiasi esperienza di vita. E’ il trionfo dell’artificio, dell’assurdo, dell’improbabile come unico modo per esprimere con chiarezza ed onestà i sentimenti più dolorosi e contrastanti: il piacere fisico, l’odio, la follia, la paura, la disperazione, l’amore filiale, il rimorso, la sofferenza fisica e quella psicologica. Il feticismo di un orgasmo ottenuto con la lacerazione della pelle, con un coltello come nuovo oggetto di piacere, è mostrato come una necessità, una dolorosa normalità. Non c’è il discorso antropologico e pseudo-misogino di Ferreri nell’evirazione che scatena l’escalation di eventi: “Moebius” non è un apologo sulla battaglia dei sessi. E non c’è nemmeno il melò transessuale e citazionista di Almodovar: “Moebius” non è un film post-moderno. Non è un film surrealista né simbolista, ma non è nemmeno un film realista. La psicologia è sublimata dall’impeccabile musica visiva della messa in scena: ogni soluzione, dalla macchina a mano allo zoom, dai rapidi stacchi di montaggio alla soggettiva, dal primo piano al dettaglio, è puramente funzionale alla laconica comunicazione di un sentimento. E’ una regia invisibile nella misura in cui aderisce alla verità dei personaggi (verità che va ricercata oltre la plausibilità della trama e trovata nella genuinità delle loro azioni e reazioni). E’ un Kim nudo, senza sovrastrutture, radicale senza compiacimenti. Riesce laddove con “Time” aveva fallito, superando la dipendenza dall’immagine in favore di quella dai corpi. Mai un’astrazione era stata così concreta come un “Moebius”; e mai il corpo era stato luogo di scontri emotivi così violenti. E’ un film che non mostra nudità intime, ma lascia percepire il trauma genitale con una forza dirompente; bilancia l’eterna universalità delle pulsioni con l’attendibile attualità della ricerca medica; rappresenta l’essere umano nei suoi insopprimibili istinti, nelle sue conflittuali relazioni, nell’abissale paradosso della sua stessa esistenza; sfronda, spoglia, libera il racconto da orpelli di ogni genere, reinventando una vibrante “drammaturgia della necessità” di spontanea e scalena geometria; e soprattutto, ci restituisce al massimo della forma uno dei più intriganti e controversi esponenti del cinema contemporaneo.

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