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Moebius

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Moebius

di alan smithee
8 stelle

FESTIVAL DI VENEZIA 2013 - FUORI CONCORSO
Kim Ki-duk è un dritto: lo sappiamo ormai da diversi anni. La conferma mi è apparsa davanti agli occhi alcune sere orsono quando davanti alla sala Perla del Lido, straripante di pubblico in vana attesa di riuscire ad entrare (io sono stato tra i primi dieci esclusi),  è apparso il regista attorniato dalla sua piccola corte: vestito come un pescatore, maglietta di rete sgualcita, pantaloni larghi da samurai, scarpa vissuta, sembrava appena uscito dalla tenda del suo esilio volontario raccontato nel furbissimo Arirang. Ma Kim Ki-duk è anche un uomo che ha un suo discorso personale e un suo stile da portare avanti e difendere. Non è una colpa, ma anzi un pregio sapersi vendere, intuire il miglior modo di insinuarsi tra la folla; oltretutto con argomentazioni e tematiche davvero ostiche, riuscendo al contrario, se non ad essere accettato, quantomeno ad essere preso con divertita e complice partecipazione anche quando l'assurdo e l'impossibile fanno capolino in una trama che solo a raccontarla si rischia di venir presi per folli.
Prendete Miss Violence, il film greco interessante e ostico in concorso quest'anno al Festival, che ha shoccato e agghiacciato la platea veneziana con le sue storie di orrori e violenze familiari indicibili perpetrate da un padre-padrone sulla sua famiglia di donne e ragazze succubi ed indifese; accostategli questo Moebius e confrontate: in quest'ultimo non succede niente di meno, né di inferiormente amorale, se si potesse graduare tale aspetto, che nel primo: in totale assenza di dialogo (che bello, uno dei pregi più evidenti e ormai marchio di fabbrica di questo regista) si arriva anzi quasi a tollerare o comunque a sorvolare su aspetti davvero incredibili e in altri contesti inaccettabili o insopportabili quali: una madre che si vendica sul figlio evirandolo per punire un marito donnaiolo ed infedele; il padre che in preda al senso di colpa "cede" al figlio il suo organo sessuale, che tuttavia prosegue una vita a sé eccitandosi con i gusti e le tendenze sessuali dell'"intestatario" precedente; l'inevitabile incesto non appena la moglie e madre fa ritorno a casa (bellissimo il gioco di sguardi tra i tre quando la donna scopre che il figlio possiede una nuova virilità che invece manca al marito, fantastico lo sguardo attonito ma consapevole della donna che intuisce in quei pochi secondi tutta la tribolata macchinazione); e poi l'esplorazione di nuove eccentriche e sanguinolente forme di ottenimento del piacere, altre feroci evirazioni con due maschi che lottano per acciuffare un pene che rotola per strada in balia delle ruote degli automezzi in corsa. Non è una follia parlare o anche solo tentare di raccontare quanto succede in questo Moebius? Lo è di certo, ma fa tutto parte dello stile, della personalità, forse un pò deviata ammettiamolo pure, di questo grande uomo di cinema, che va preso ed accettato con più coerenza specie se visionato nel contesto graduale di tutto il suo completo e già notevole e prolifico percorso cinematografico. Non è affatto scontato riuscire a parlare di tutto questo efferato orrore quotidiano, improbabile quanto assurdo, suscitando nel pubblico risate a scena aperta, e poi poco dopo senso di disgusto, ma anche attrazione inconfessabile, curiosità malsana e tuttavia naturale, incollando nel contempo lo spettatore alla poltrona a misurarsi e fare i conti col proprio istinto voyeuristico e con il senso di dipendenza  da un intreccio assurdo di cui inevitabilmente ti senti parte e che in qualche modo ti ha contagiato, avvinto, infangandoti in modo irrecuperabile e facendoti uscire dalla sala con un colpevole ma appagante senso di soddisfazione.

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