Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Per capire Moebius di Kim Ki-duk bisogna fare un passo indietro e ritornare ad un anno fa, a quando il regista presentava in concorso al festival di Venezia quel Pietà diventato Leone d’Oro. Se in Pietà Kim Ki-duk affronta il tema della vendetta incrociando con la deriva della società moderna e il forte ruolo che questa ha assegnato al denaro, in Moebius restringe il campo e si concentra su un nucleo familiare composto da tre persone e il rapporto malato che hanno con il sesso e la sessualità in genere. Dipingendo un universo chiuso e ristretto il cui motore dominante sono il desiderio e le pulsioni sessuali, Kim Ki-duk calca la mano e porta alle estreme conseguenze una sceneggiatura di suo tortuosa e ciclica.
Con continue sensazioni di deja-vu che ricollegano una scena all’altra, Moebius non ha paura di scandalizzare o di sconvolgere il pubblico perbenista: stupri, incesti, evirazioni e pratiche sessuali alternative abbondano e si sovrappongono, disgustano ma allo stesso tempo attraggono, provocano e in egual misura irritano. Più che scappare dalla storia, il pubblico è invitato a immergervisi con continui ammiccamenti e situazioni che ricercano la risatina facile. Ki-duk in questo è stato furbo, sa quanto il sesso sia ancor un tabù (non a caso, insiste sui genitali: quanti di voi sanno che in Corea è vietato farvi riferimento in pubblico) e quanto sia in grado di provocare reazioni fuori controllo. Chi guarda, di fronte a tante violenza tra le parti basse chiude gli occhi con una mano ma spia dalle fessure tra un dito e l’altro.
Non si vorrebbe provar simpatia per i protagonisti di Moebius ma l’abilità di Ki-duk sceneggiatore porta chiunque a lasciar liberi tutti gli istinti primordiali e, in fondo, a sperare che quel rapporto incestuoso accada il prima possibile per poi lasciarsi andare a un finale che non potrebbe essere diverso. Stupisce, infin,e come il tutto sia stato costruito senza un dialogo che sia uno, puntando sulla straordinaria capacità dei tre attori protagonisti di farsi carico di sofferenza e dolore con la sola forza del corpo e delle facce.
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