Regia di Franco Martinelli vedi scheda film
Uno dei tanti esempi - e a dirla tutta, nemmeno dei peggiori - del poliziottesco 'soft' (cioè poliziesco truce e spietato, ma ancora privo del demenziale di un Monnezza, per es.) che in quegli anni spopolava in Italia. Come è noto le origini del genere vengono essenzialmente da due fattori: quello storico (ascesa del terrorismo, bande di criminalità organizzata in rapida diffusione) e quello cinematografico (Il braccio violento della legge, Il giustiziere della notte, ma non si dimentichi pure Arancia meccanica); ciò che sorprende in questo caso è la firma in regia, che è quella sotto pseudonimo di Marino Girolami, non un nome eccelso. Eppure Girolami trova modo di sfogare una finora ben celata passione per le scene di azione, delle quali Roma violenta può dirsi pressochè interamente composto, e concretizza un discreto risultato, confezionando una novantina di minuti di pura tensione e adrenalina. Chiaramente i meriti vanno spartiti con il soggetto e la sceneggiatura di Vincenzo Mannino, che però hanno anche altrettanti difetti: uno su tutti, il gusto melodrammatico per il patetico, che trionfa nel moraleggiante finale in cui l'amico paralitico dice al commissario che i suoi metodi crudeli sono insensati, poichè se tutti prendessero la giustizia come un fattore personale la razza umana, in sostanza, andrebbe incontro ad una rapida estinzione. Discorso più che logico, ma che vanifica tutto ciò che la pellicola aveva tronfiamente ostentato fino ad un minuto prima. Il regista impose Merli come protagonista, scelta non troppo azzeccata (la sua staticità d'espressione non è esattamente un pregio attoriale), ma che premierà l'attore regalandogli una cospicua serie di futuri ruoli simili. Tante esagerazioni (pallottole su pallottole e fiumi di sangue), qualche inverosimiglianza di troppo (il paralitico preso a calci nella schiena che si gira da solo), ma una costruzione narrativa impeccabile ed anche un'interessante e coraggiosa polemica, nemmeno troppo sottintesa, sul ruolo della legge (perlomeno in Italia), vista come una specie di bastone fra le ruote della giustizia nei confronti della criminalità più spietata. 5,5/10.
Il commissario Betti usa metodi molto rudi, che prevedono tortura, linciaggio e uccisione dei malviventi. Un magistrato lo rimuove dai suoi incarichi poichè, con tali sistemi, scavalca qualsiasi legge vigente, ma Betti - che deve anche vendicare un collega gambizzato - non esita ad unirsi ad una feroce banda squadrista clandestina organizzata da un insospettabile avvocato. La sua lotta senza quartiere al crimine riprende da qui.
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