Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Un film che doveva fermare il presente, superare il passato e preparare il futuro. Il paese e il cinema andavano rifatti dopo le macerie fisiche della guerra e morali dei telefoni bianchi. L’arte per eccellenza del novecento, proprio in quel contesto tragico, poteva trovare un linguaggio nuovo nelle strade fuori dai teatri di posa. In una città che doveva essere ricostruita non ci si poteva permettere di mettere in scena architetture artificiali o case di cartapesta. L’attualità e la cronaca erano così pesanti e importanti da rendere inutile ogni stilizzazione o formalizzazione che potesse filtrare la libertà artistica del nostro regista più importante. L’approccio di Rossellini è laico, diretto a rappresentare le cose senza commentarle a registrarle senza farle accadere. Guardare Roma città aperta è come scalare una montagna, infatti il suo picco è l’ultima corsa di Anna Magnani verso il futuro marito appena catturato dai nazisti. Prima la salita scandita dalla vita quotidiana di un quartiere romano che cerca quella normalità tipica della commedia all’italiana che verrà. Dopo la discesa nella camera della tortura per alcuni e della festa per altri. La guerra è brutta e non c’è bisogno di esaltare l’eroismo degli uni o la violenza degli altri per farlo capire a chi guarda. Tutti abbiamo paura di morire che lo si faccia per amore, politica o fede chi resta deve continuare a vivere. Con questo film (ri)parte il cinema italiano, molti registi moderni con le loro onde trovano il loro maestro che nega l’equazione dell’autore come demiurgo, per chi cerca di svincolasi da ogni stile o forma per provare a raccontare il più possibile la realtà. Opera urgente, imperfetta, fondativa per un paese che può ritornare a guardare senza vergogna con gli occhi di un artista.
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