Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Come diceva Italo Calvino, all’incirca, il Neorealismo corrispose al bisogno fisiologico di alcuni esseri umani di raccontare le proprie esperienze e di raccontarsi alla luce di fatti terribili. Il Neorealismo stesso ebbe numerosi paralleli nel resto dell’Europa, come per esempio la pittorica Nuova Oggettività: ecco che non possiamo pretendere dal Neorealismo film Iperrealistici. Il Neorealismo corrispose a bisogni interiori di uomini alla ricerca dell’espressione, ed è anche questo il perché della fotografia e delle ombre in certi momenti quasi espressionistiche di Roma città aperta, a buon ragione considerato come uno dei più grandi film della storia del Cinema. Rossellini non ha la pretesa, come De Sica, di mettere in scena la verità in maniera assoluta. È vero, lui dice che la realtà è davanti a noi e non c’è bisogno di modificarla, ma è comunque “davanti a qualcuno” questa realtà, e questo qualcuno parla, soffre, cerca empatia. Ecco che il capolavoro di Rossellini coinvolge e appassiona come pochi altri film neorealisti, grazie alla potente messa in scena del suo regista (inutile citare la sequenza della Magnani che corre e viene freddata) e all’interpretazione, oltre che della Magnani e di Fabrizi, di tutti i comprimari non professionisti, che si prestano a interpretazioni non sempre facili. Ma la cosa che più sorprende, e che distacca questo film dallo stesso Ladri di biciclette, è l’attenzione non solo emotiva, a momenti quasi psicologica, nei confronti dei personaggi, per non parlare poi della contestualizzazione storica, niente che a livello scenografico costasse troppo (parlando della guerra e considerando che il film è del 1945 va da sé!), ma qualcosa di realmente fondamentale per quanto riguarda le tematiche e il messaggio di tutta l’opera. Ed è bene stare attenti anche a questo presunto “messaggio”, perché l’opera di Rossellini potrebbe essere scambiata per didascalica, quando invece il suo regista ha la brillantezza e la grandiosità di gettare più ambiguità e problematicità di quanto potrebbe sembrare. Tralasciando le vicende narrative, che si vedono composte di due tronchi che lentamente si riuniscono nello stesso fusto, i personaggi di Rossellini sono alle prese con una guerra e alle prese con le loro passioni, le loro debolezze e i loro limiti. Rossellini pone la domanda fondamentale: qual è la responsabilità del singolo in un contesto così roboante e mastodontico come la guerra? Coinvolto in questa “bufera”, il singolo può davvero influire in qualche modo in qualcosa, oppure può solo ricercare gloria personale? E ancora, il singolo può agire o finirà solo e soltanto per subire? Questi ed altri quesiti pone Roma città aperta, e siccome la risposta di Rossellini non è univoca (un nazista che improvvisamente si accorge che il popolo tedesco non è un vero “popolo sovrano”; il personaggio di Corinna, che giustifica la sua degradazione affermando che è il mondo ad essere un posto schifoso; il personaggio di Manfredi, che sopravvivendo alle torture non tralascia particolari sul movimento dei partigiani, mentre l’altro “disertore” si impicca; e così via), il film dà alla luce una girandola di situazioni e di caratteri davvero indimenticabili che cercano, nel loro piccolo, di impegnarsi o di lasciarsi andare alla vita (e alla morte). Pina sceglie la via della tranquillità familiare, Francesco scappa da qualsiasi possibile agguato nazista, Manfredi sa adottare la via dell’eroismo, Corinna piange il suo uomo pur non riuscendo a smettere di essere una vittima, la sorella di Pina si dà alle ubriacature, e infine il sacerdote, che nella sua figura di uomo di Chiesa ripropone interrogativi fondamentali anche a livello esistenziale (il libero arbitrio sotto il motore enorme della guerra come il libero arbitrio sotto lo sguardo di Dio) e non riesce a sopravvivere sebbene i bambini con la loro forza innocente fischino durante la sua esecuzione. È proprio nei bambini che Rossellini poi si incentra, sul loro sguardo, sulla loro terribile condizione, sulla loro iniziativa e sulla loro straripante gioia di vivere che lascerebbe ben sperare, tra varie disperazioni, per ciò che riguarda il futuro dell’Italia. “Sempre che ‘sta maledetta guerra finisce”. Se poi si guarda Germania anno zero, lì sembra che neanche i bambini riescano a “sopravvivere”.
Epocale.
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