Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Don Pietro, l’austriaco disertore, lo stoico ingegner Manfredi ed il fedele Francesco escono di soppiatto, in un mattino qualsiasi, per l’ennesimo addio forzato. Scappano ancora una volta da quella maledetta guerra, rifugiandosi dai tedeschi, costretti ad uscire dalla propria casa manco fossero ladri, manco fossero stranieri nel proprio quartiere natio. Tutto per continuare il proprio sogno e perpetuare l’ideale di libertà nazionale. Nell’ombra cupa di un’alba beffarda, girato l’angolo, vengono bloccati e fatti prigionieri dalla Gestapo. È in quest’atmosfera ebbra di caducità e mestezza che si respira tutta la grandezza del capolavoro rosselliniano “Roma città aperta”, caposaldo del neorealismo e manifesto di un’epoca, di una certa Italia alle prese con le quotidiane nefandezze della guerra. Il regista Roberto Rossellini allestisce atmosfere che invitano alla partecipazione, usa spesso la camera a mano, seleziona per il montaggio anche immagini sfocate, piazza la macchina da presa in punti di vista “alla Kurosawa”, con il mondo intero che si frappone tra mdp e i protagonisti delle vicende, a concretizzare interludi in esterno che spezzano la monotonia di esistenze misere, che nei propri bugigattoli, intanto diventati troppo bui e troppo affollati, sperano in un futuro migliore. Il taglio che il grande regista neorealista vuol dare alla pellicola è quello tra documentaristico e sociale, ma non certo si perde nella storia del singolo, non vuol incappare nel melò, lasciando i personaggi soli con se stessi, nonostante una battaglia di gruppo, in attesa del riscatto di una nazione. Lo testimonia la scena madre del film, quella della corsa tanto disperata quanto tragica della sora Pina, che va incontro al suo prossimo sposo con in grembo il suo bambino, sfidando le baionette degli spietati tedeschi. Il tragico epilogo della scena, piazzata da Rossellini a metà pellicola, è di quelle capaci di mutare l’intero corso del film, da cui ti attendi strascichi importanti per Francesco, per il piccolo Marcello e per l’eccentrica sorella di Pina. Eppure è un episodio che Rossellini lascia a se stante, che non riprende. Nessuno, per il resto delle vicende piange Pina, perché la guerra dei partigiani non è all’insegna della vendetta personale, ma del riscatto di una nazione intera. Chapeau.
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