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Roma città aperta

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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La recensione su Roma città aperta

di Antisistema
10 stelle

“Ossessione” di Luchino Visconti (1943), tra problemi distributivi, censura ed incomprensione critica, rappresenta la possibilità di una “nuova via estetica” al cinema italiano e forse pure per quello mondiale. Roberto Rossellini ne assimila la lezione, ma va ancora oltre nella teoria viscontiana, sancendo la nascita di un cinema totalmente rinnovato, nella forma, idee e contenuti, ponendosi come capostipite imprescindibile, per un prima ed un dopo.
“Roma Città Aperta” (1945) è la nuova “Costituzione”, prima ancora di quella repubblicana che verrà alla luce, dopo due anni di lavoro, da parte dell’assemblea costituente nel 1948.
Rossellini, concepisce l’idea su un film incentrato sulla resistenza romana, già nella seconda metà del 1944, con la capitale da poco liberata dall’occupazione nazista.
Un documentario sull’uccisione da parte dei nazisti di don Giuseppe Morosini, che appoggiò la resistenza. Con l’apporto di nuovi collaboratori, tra cui Federico Fellini, alla fine si giunse al progetto di un vero e proprio film, per via di nuovi personaggi e situazioni aggiunte, pur avendo sempre al centro la figura di un prete, don Pietro Pellegrini (Aldo Fabrizi), personaggio di finzione, ma con tante caratteristiche in comune con Morosini, in quanto dalla parte della resistenza, a cui fornisce documenti falsi.
Rossellini, tiene le fila di una sceneggiatura sbilanciata nei toni e nella frammentazione narrativa, a causa della coralità dei personaggi, di diversa estrazione sociale ed ideologia politica molto differente, uniti però dalla necessità di “stringere un blocco compatto contro il comune nemico”.
Senso di appartenenza e scontro unitario contro l’oppressore nemico, sono concetti che ritornano continuamente in una pellicola dal carattere nazional popolare, che rilegge i 9 mesi di occupazione nazista di Roma, in un’ottica “allegorica”, in stile quadro “La Libertà che Guida il Popolo” di Eugene Delacroix (1830), in cui vari personaggi, di classi sociali differenti, partecipano alla lotta rivoluzionaria, in nome dell’ideale comune.
La capitale italiana, assurge a simbolo della madre Italia, ferita, lacerata e distrutta, nella cui miseria estrema, non viene mai meno lo spirito di solidarietà “umana” tra i personaggi, che in vari modi e differenti gradi d’intensità, partecipano alla resistenza.
Il prete cattolico (Aldo Fabrizi), l’ingegnere comunista Giorgio Manfredi (Marcello Pagliaro) e la popolana Pina (Anna Magnani), vedova, ma con il piccolo figlio Marcello da mantenere, nonostante le numerose avversità improvvise, che sembrano piombate su un intero popolo, che si chiede se poi questi americani esistano poi davvero, constatandone la veridicità, tramite i risultati dei bombardamenti sugli edifici, nonché su una guerra, che pochi anni prima si pensava di vedere solo nei cinegiornali, è divenuta invece, incubo quotidiano concreto.
Rossellini, prima ancora del futuro presidente della repubblica Gronchi, - che in un suo discorso farà coincidere la nascita della repubblica con la lotta partigiana stessa -, mostra il carattere fondativo della resistenza, di una nuova coscienza italiana, arrivando a forzare la storia stessa, omettendo il fatto, che solo una minima parte della popolazione di Roma, fosse implicata nella resistenza, senza contare l’assoluta indistinguibilità tra fascisti e tedeschi, assimilati nelle responsabilità, dove emerge solo la barbarie nazista ed i pochi personaggi dell’autorità fascista, sono mostrati in ruoli subordinati o comici.
L’Italia non è ancora pronta ad assumersi le responsabilità di una dittatura ventennale, men che meno ad elaborare un minimo concetto di “guerra civile”; solo dagli anni 60’ in poi, si comincerà ad affrontare lo scomodo passato con un metodo critico storiografico, seppur tra molte polemiche – vedere i libri di Storia dell’Italia fascista di Renzo De Felice -.

Anna Magnani

Roma città aperta (1945): Anna Magnani

 

L’approssimazione della storia, non deve portare a grossolane riletture in negativo di una pellicola epocale, la cui potenza risiede in una forma asciutta, glabra, senza fronzoli inutili, rafforzati dalla profondità inedita della regia di Roberto Rossellini, ricoprente i propri personaggi di una “spiritualità”, che riesce a fondere le complessità molteplici della nuova Italia, divisa tra comunismo e cattolicesimo.  Una contraddizione solo superficiale, che mai si contraddice per la ricerca “umanista”, di cui sono intrise le immagini.
Frammentazione anche linguistica, tra chi l’italiano lo parla bene, in quanto persone di cultura (Giorgio e Francesco) e chi come Pina, i bambini e la comunità popolana del palazzo in cui vive, sembra portare in scena, con spirito verace, i sonetti romaneschi di Gioacchino Belli, facendo risaltare, la spontaneità immediata conferita dal dialetto, in una freschezza espressiva, che spoglia le vicende, da ogni retorica, più di quanto riesca a fare la stessa regia.
Il “neorealismo” secondo Rossellini, consiste quindi nel rappresentare, “l’umanesimo” presente nel mondo, secondo la formula più depurata e intellegibile possibile, senza alterazioni “artificiale”, che finirebbero con il “soffocare” i soggetti in scena, rendendoli palesemente “costruiti”.
Questo grande fraintendimento del cinema rosselliniano – qui mascherato dal forte e attualissimo tema della resistenza -, sarà alla base delle successive incomprensioni critiche, da “Stromboli Terra di Dio” (1948) in poi.
Innanzi alla profondità di pensiero e alla rivoluzione cinematografica di “Roma Città Aperta”, in cui le scenografie e le luci, arrivano a lambire la realtà stessa, ha poco senso focalizzarsi sulla semplificazione storica in merito alla resistenza, lo scompenso tra una prima parte lodata per la componente civile che raggiunge il climax con la morte di Pina, ed una seconda considerata più debole, per via di una scrittura traballante da “romanzo d’appendice” tra Giorgio e la sua compagna Marina (Maria Michi), fino a critiche più recenti, in merito ad una relazione dai connotati “lesbici” tra Marina ed Ingrid, agente della Gestapo, che tiene sotto scacco psicologico la prima, a cui fornisce droga, in cambio di informazioni sui componenti della resistenza.
Il legame omosessualità-dittatura/tirannia, è sempre stato un’associazione fatta da letteratura e propaganda contro gli autoritarismi, perché assimilabili ad una degenerazione depravata di ogni valore etico e morale, dato lo stigma negativo associato nei confronti di tali concezioni sessuali.
Questo binomio nel film non è gratuito, in quanto si contrappone alla via crucis da parte di Giorgio, nell’atto di subire dai nazisti ogni genere di tortura, nel tentativo di obbligarlo a parlare.
La decadenza morale di chi si crede la “razza ariana”, in contrasto con l’ estrema audacia di Rossellini, nel far “reincarnare il Cristo sofferente”, in un militante comunista, tocchi abissi di inusitata profondità del pensiero “umanista”, che vanno ben oltre il cattolicesimo stesse.
Deve essere giusto ribadire come l’associazione nazismo-omosessualità, nonostante nell’economia filmica abbia il suo perché, risulti comunque profondamente sbagliata, in quanto gli omosessuali furono perseguitati dalla dittatura di Hitler, con oltre 100.000 arrestati, 60.000 condannati, circa 15.000 internati nei campi di concentramento, con tassi di mortalità attorno al 60% (secondi in percentuale sul totale solo a quello degli ebrei).
Tra l’inferno di una Roma ridotta ad un campo di battaglia ed il purgatorio della resistenza civile all’invasore nazista, il paradiso è ben al di là dall’essere raggiunto. Un orizzonte lontano, come lo è la basilica di San Pietro, inquadrata sullo sfondo nel campo lungo finale, mentre i bambini affranti camminano mestamente, verso un futuro incerto.
Il simbolo di Roma non risiede nel Colosseo o altri monumenti, ma nel suo essere il centro della spiritualità cristiana. La capitale devastata, offesa, umiliata e financo “stuprata” dall’occupazione tedesca, solo se riuscirà a far propri valori di solidarietà cattolica, ma in uno spirito autenticamente popolare di massa, riuscirà a gettare fondamenta solide per una nuova Italia.

 

Aldo Fabrizi

Roma città aperta (1945): Aldo Fabrizi

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori: //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

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