Regia di Michael Taverna vedi scheda film
Adattando il già non eccelso horror nippoamericano Apartment 1303, girato da Ataru Oikawa nel 2007, Taverna riesce a svilirlo sotto ogni punto di vista. Il plot è sempre quello, con una ragazza che affitta l’appartamento 1303, in passato teatro di misteriosi suicidi di giovani donne. Janet Slate, che parla da sola per spiegarci i suoi stati d’animo e in una sola sera impazzisce fino a perdere completamente il senno, diviene preda delle presenze resistenti della casa e si schianta al suolo dopo un volo dal balcone. Omicidio o suicidio? La sorella Lara indaga, mentre a Taverna - di conseguenza, allo spettatore - non è chiara la distinzione tra orrore oggettivo e soggettivo: i fantasmi sono ora visibili, ora impercettibili, ora violenti, ora innocenti, secondo modalità che appaiono completamente casuali. Personaggi nonsense (su tutti la madre di Lara, cantante fallita e alcolizzata, utile solo a riempire minuti gorgheggiando allo specchio), risibili sottotesti familiar-conflittuali a base di complessi di Elettra, ralenti sparsi senza una logica programmatica, una sequenza erotica per accontentare tutti e interpretazioni che fanno sembrare Mischa Barton una consumata e regale scream queen: 1303 è puro sfoggio di dilettantismo spacciato per artigianato, di stereotipi horror del nuovo millennio ormai sviliti e depotenziati (la casa come nucleo di instabilità, la disgregazione familiare, il fantasma come proiezione nichilista), di consuetudini filmiche che non fanno più paura a nessuno.
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