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Rollerball

Regia di Norman Jewison vedi scheda film

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La recensione su Rollerball

di Baliverna
8 stelle

Lo sport come valvola di sfogo per la violenza sociale. Discorso sempre più attuale, e antico.

Norman Jewison non ha diretto mai film banali e scontati, ma originali e molto diversi tra loro. Questo è uno di questi, un film di fanta-sport e, di riflesso, fanta-politica, che ha più di qualcosa da dire. Infatti, benché del 1975, questa pellicola è ancora attuale e non è stata dimenticata dal pubblico.
Questo bizzarro sport – il rollerball – per quanto inventato dallo sceneggiatore William Harrison, è perfettamente verosimile. È molto popolare nel mondo del futuro, forse anche perché si distingue per una certa crudezza e velata violenza le quali, rispettando le regole, si vedono quasi continuamente.
Ma chi sta al potere si accorge che la violenza nell'arena (suona nuovo?) può servire come valvola di sfogo per la violenza sociale, e forse per la contestazione al potere. E allora, che fare? Abolire tutte le regole e i falli, e dare briglia sciolta alla violenza latente nei giocatori e nell'essere umano in generale, la quale non ci mette molto poi a rompere tutti gli argini. Se infatti i giocatori, sulle prime, si fanno solo qualche sgambetto e si danno qualche spintone, nel giro di un paio di partite si arriva al sangue, alla violenza più brutale, e alla morte.
Questo discorso vale sia come analisi della natura umana, la quale necessita di regole, argini e limiti, che come pauroso ritratto della società del futuro. Essa è governata da un'elite cinica, che non disdegna alcun mezzo pur di conservare il potere.
Ma se questo è un possibile mondo del futuro, è anche vero che esso torna ad essere simile a quello pagano antico, quando a Roma i gladiatori si scannavano davanti ad una folla vociante che si divertiva alla vista della crudeltà e della spietatezza, e a cui piaceva giocare di pollice. Una realtà che non dobbiamo essere troppo sicuri di aver superato per sempre.
*** ANTICIPAZIONE DEL FINALE *** Per quanto riguarda la condotta del protagonista (James Caan), per una buona parte del film il suo rifiuto di piegarsi alle pressioni della dirigenza appare meritevole e doveroso. I dirigenti, infatti, vogliono sostituire la vecchia guardia, più incline a giocare pulito, con una nuova classe di giocatori senza scrupoli. Egli, tuttavia, si ritrova alla fine, suo malgrado, a compiere proprio il volere dei cinici burattinai che siedono non si sa dove dietro i teleschermi (come oggi?). La sua vittoria finale è quanto mai amara o addirittura dubbia. Egli ha vinto, o si è piegato a chi lo vuole cinico e violento? Non ha forse rovinato, alla fine della fiera, l'umanità che voleva conservare?  

**********
Per il resto, il film è ben diretto e recitato, e gode di una discreta tensione che non molla mai. Le scenografie futuristiche non sono troppo dispendiose, ma la pellicola non ne soffre. In certi casi, vengono inquadrati palazzi di architettura ultra-moderna realmente esistenti.
Tra le idee originali che restano impresse c'è quella dei tifosi giapponesi, che tifano mimando i gesti delle arti marziali; e lo sbrigativo medico dell'ospedale, che vuole “la firmetta” per staccare la spina a colui che egli vede solo come una rottura di scatole.
La colonna sonora, con il bellissimo “Adagio in Sol minore” di Albinoni, imprime all'intera vicenda un'aura di tristezza, nonostante l'argomento sportivo e il ritmo dinamico della pellicola. Inoltre, le melanconiche note dell'adagio conferiscono accenti poetici alle sequenze dove il protagonista riguarda i filmati di lui con la moglie, la quale lo ha lasciato pare su pressioni dell'invisibile potere che governa il tristo mondo del futuro.

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