Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Siamo abituati, ormai, al consueto cinema ozpetkiano.
C’era stato un leggero e piacevole deragliamento con Magnifica presenza, ritorniamo ora alle abituali turbolenze di cuore (dalle quali, appunto, il consiglio del titolo) che vedono ambienti allargati e ripetuti siparietti tra generazioni diverse.
E caratteri opposti anche, dove possono intrecciarsi amori viscerali e amicizie profonde (fantastico e bravissimo, in quest'ottica eterogenea, Filippo Scicchitano, che inizialmente ricorda un incredibile Renzi adolescente..)
La Smutniak fa la tosta in una parte dura e puntigliosa, che la coinvolge in diverse scene emotive, ad esibire facce affrante o allegre tenerezze.
Dove non convince, invece, sono gli eccessi estremi, come nella fase della malattia, oppure nella scena clou del film, quella chiave, la svolta per cosi dire, che si trasforma in una tamarrata biblica che difficilmente avrebbe visto la luce anche sotto l’egida di un Vanzina o di un Neri Parenti: la Smutniak folgorata dal fascino rozzo del superboro (appena sfanculato per questioni di razzismo qualche giorno prima), gli serve, al bar dove lavora, una media chiara, che il primate tracanna tutta d’un fiato (ma senza rutto libero finale.. si vede che fatto 30, Fernan non se l’è sentita di fare pure 31..) e lei và in brodo di giuggiole davanti alla performance cammelliera, si fa prendere dalle caldane, molla il banco e vola via appresso al richiamo della barbarie (che sicuramente “ha pure da puzza'.. ”), ed entrambi via in moto (e senza casco ovviamente, che me voi rovina' i capelli al vento e l'occhio ebete?..)
Il protagonista maschile, Francesco Arca, è un autogol micidiale, fisico palestrato, cervello mai pervenuto.
Vero che si vuole giocare agli opposti che si attraggono ma, come sull’ottovolante, prima della discesa c’è una salita e passare d’incanto da un estremo all’altro, se da un lato snellisce l’impianto di sceneggiatura, evita anche al regista pigro di impelagarsi in una molteplicità di dinamiche a malapena sfiorate.
Il nostro ominide non esprime un concetto che è uno per l’intera durata del film... quando gli viene chiesto se per caso è dislessico, gira i tacchi e va via, chiedendosi, probabilmente, per quale nazionalità l’avessero scambiato...).
Apprezziamo gli stacchi spazio/tempo che ci ripropongono tutti gli elementi, amici e familiari, tredici anni dopo a gestire le loro pieghe di vita. Ed anche gli incroci temporali, anche se grondanti simbolismi spesso elementari (mare calmissimo prima, in burrasca poi).
Ci piace meno il quadro che propone una deriva tragica senza che i rari elementi narrativi a sorpresa prendano il sopravvento o incidano più di tanto sulle palate di commozione sparse generosamente... insomma l'Ozpetek che in fondo conosciamo a memoria. Garanzia per molti, accenno di noia per altri. Me compreso.
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