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L'altra Heimat - Cronaca di un sogno

Regia di Edgar Reitz vedi scheda film

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La recensione su L'altra Heimat - Cronaca di un sogno

di EightAndHalf
10 stelle

Sehnsucht, tradotto direttamente come "sogno" nel titolo di Die Andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht, è più propriamente traducibile come "male del desiderio", o "dolore del desiderare"; è infatti la parola-chiave dell'intero Romanticismo tedesco ottocentesco, in quanto inquadrava il profondo senso di malessere nell'aspirare ad una condizione di pienezza vitale infinita, per l'uomo impossibile perché egli stesso recluso nella propria restringente finitezza. Il desiderio, nel prequel degli Heimat di Edgar Reitz, è quello di Jakob, ma se vogliamo quello di un'intera generazione, ed è un desiderio di terre lontane, esotiche, dove la vita possa schiarirsi e le disgrazie non debbano susseguirsi con la preoccupante frequenza con cui attanagliano gli abitanti dell'Hunsruck, in Germania, in quelle terre verdi e stupende ma gelide e a tratti mortificanti. Ritroviamo, in Die Andere Heimat, la Schabbach degli altri tre Heimat, e la troviamo in un contesto assai diverso da quello anche dell'inizio del primo capitolo (Nostalgia di terre lontane, da Heimat), ovverossia il 1842, quando nelle memorie delle vecchie generazioni non stanno certamente le guerre mondiali ma piuttosto le guerre napoleoniche. In questo angolo di mondo, piccolo e cigolante, e per questo straordinariamente intimo, abbiamo saputo vivere grazie alla liricità dello sguardo di Edgar Reitz per quasi un intero secolo, tra fughe, sofferenze e catarsi liberatorie, un viaggio che in Die Andere Heimat trova un'ideale conclusione che, paradossalmente, ci riporta indietro nel tempo, non tanto ad indagare le cause (del determinismo della Storia a Reitz interessa relativamente), ma a proporre un dialettico confronto fra le aspirazioni che in un secolo o in un altro possono contraddistinguere i giovani della famiglia Simon, a dire il vero una vera e propria dinastia di cui potremmo quasi stabilire l'albero genealogico.

 

scena

L'altra Heimat - Cronaca di un sogno (2013): scena

 

Inutile disperdersi nei difetti (anche che li si trovi - non è così facile - sarebbero certo veniali), perchè Die Andere Heimat è un enorme capolavoro, alla stregua dei primi due capitoli (e del terzo, che però risulta forse il meno rigoroso tra i quattro). Riproponendo fedelmente la verità storica ma trascendendendone il senso e rendendola mezzo per la comprensione delle passioni umane, il grande regista tedesco mette in primo piano le sofferenze del giovane Jakob Simon, amante della lettura e curioso, avido di sapere, conoscitore delle lingue indigene e ammiratore della natura. Egli si accorge troppo tardi di essersi innamorato di una ragazza di Schabbach, Henriette detta Jettchen, costretta a sposare il fratello di Jakob, Gustav, perché rimasta incinta di quest'ultimo nei festeggiamenti disinibiti di una festa autunnale. Incapace di convivere con questa crudele piega presa dagli eventi, e spinto anche dall'insofferenza che il padre prova nei suoi confronti (insofferenza che è più incomprensione per i reali interessi del figlio), Jakob scappa più volte e in più modi dal suo paese per poi farvi sempre ritorno, assalito forse inconsciamente (ma non così poco evidentemente) dall'immediata nostalgia per la sua terra natìa, fautrice essa stessa, forse, della bellezza dei suoi sogni (nati, dialetticamente e genuinamente, dalla sua disperazione). Dagli speroni rocciosi e dalle montagne dove Jakob può urlare ai quattro venti la sua sofferenza e i suoi sogni, da lì si stendono terre sconfinate che possono facilmente rappresentare quella bellezza del creato cui Jakob anela fin da giovanissimo, con quegli occhi che - gli abitanti di Schabbach l'hanno notato - guardano il mondo in maniera insolita. 

 

Jan Schneider

L'altra Heimat - Cronaca di un sogno (2013): Jan Schneider

 

Reitz non si dimentica delle grandi movimentazioni ottocentesche che nel piccolo del paese dell'Hunsruck si manifestano come astio nei confronti dei padroni e delle ristrettezze (vedasi al riguardo l'immensa lunghissima sequenza della festa di paese, in cui ai drammi individuali di Jakob si affianca la ribellione un po' balorda ma efficace degli abitanti di Schabbach), ma l'interesse per la conseguenzialità storica interessa di meno delle interiorità dei suoi protagonisti: procedendo spesso per ellissi, ma non per questo rinunciando a una fluidità narrativa che speravamo di rivedere fin dal suo terzo Heimat, Reitz segue la cronologia delle emozioni, riproponendo per straccetti lirici quelle parentesi oniriche che teneramente o rabbiosamente definiamo ricordi. Senza scivolare nei piagnucolii delle tragedie e delle morti, ma vivendole come meste memorie di un passato andato, Die Andere Heimat diventa ben presto la messa in scena di un flusso di emozioni e sensazioni che Reitz rende palpabili con una regia mastodontica. Alternando i campi lunghi delle campagne (estive, invernali, autunnali, tutte quelle proprie di stagioni ferme nella loro atemporalità) ai primi piani dei protagonisti, e affidando molto al non detto e molti altri sottotesti a una voce narrante (di Jakob) mai così azzeccata, Die Andere Heimat finisce per vantare una serie infinita di trovate formali, a partire dal curioso utilizzo del colore immerso nel bianco e nero che non può non ricordare, seppur per vie traverse, non solo il cappotto spielberghiano di Schindler's List, ma anche il denaro dorato di Rapacità di Stroheim, anche se quella moneta che nel film di Reitz ricompare frequentemente assume un significato del tutto diverso da quello immaginato dall'altro grande regista tedesco degli anni '20. Un uso del colore, quello di Reitz, che alterna all'intento metaforico un puro e spontaneo inno alla bellezza della natura, come quando l'inquadratura sembra dipingere su un prato i fiori blu di campo col solo movimento della macchina da presa (dopo la mente umana, il Cinema ricrea alla perfezione i sogni). E' un uso del colore misteriosissimo (il ferro rovente sullo zoccolo del cavallo), polisemantico, che ricorda quel sottile carattere enigmatico che caratterizzano i primi due Heimat. Spesso il risultato formale è proprio romantico, quello di estendere fuori dal personaggio le sue sensazioni e farle librare in aria con la semplice fluidità (o ipercinesi) della mdp. Vedasi a tal proposito una delle tante fughe di Jakob: la telecamera perde il controllo, e si lancia in fugaci primi piani di un uomo ansioso e disperato.

 

Marita Breuer

L'altra Heimat - Cronaca di un sogno (2013): Marita Breuer

 

Jan Schneider, Antonia Bill

L'altra Heimat - Cronaca di un sogno (2013): Jan Schneider, Antonia Bill

 

E' dunque la forma un'importante chiave di lettura di Die Andere Heimat. Da momenti fatalisti (la morte dello zio) a squarci onirici e irreali (il riflesso di Jettchen nell'acqua mossa di un lago), penetriamo nella mente e nelle emozioni di Jakob vivendole sulla nostra carne e nei nostri occhi, e non è un caso che il film inizi proprio con una carrellata apparentemente superflua, ma che sembra il PdV della coscienza danzante di Jakob che legge dentro casa, finché il padre non gli getta furiosamente il libro nel fango fuori dalla porta d'ingresso (quanti questa porta ne vedrà entrare e uscire..). Questo continuo rispondersi e corrispondersi di dentro e fuori rende il film di Reitz quasi un esperimento sulla mise en scene della soggettività: scorre il tempo ma i personaggi rimangono gli stessi, non uguali a quelli che verrano nel secolo successivo ma analoghi nell'incapacità di soddisfare i propri desideri e nell'impossibilità di riavvolgere il tempo. Siamo così immersi nelle menti dei nostri protagonisti da vedere la morte come fisiologica ma straniante e sconosciuto ostacolo al procedere dei loro sogni (la realtà è onnipresente, ma allo stesso tempo estranea). E mentre l'intero film può dirsi attraversato da una costante aria di morte (la madre, la stessa Marita Breuer di Maria Simon di Heimat, Margarethe, che vede per un attimo i sei figli piccoli e grandi morti per le più svariate malattie; il finale, con Jakob che sotterra accanto alla tomba della madre la lettera dal Brasile del fratello emigrato), allo stesso tempo inneggia alla straordinaria vitalità di chi può dirsi attaccato a una terra e fedele ad essa, pur nelle contraddizioni infinite della propria condizione umana. A ogni desiderio corrisponde lo stesso desiderio uguale e contrario, così alla fuga corrisponderà l'incredibile voglia di rimanere lì, a Schabbach, dove i sogni nascono genuini fra le mille difficoltà quotidiane ed evolvono verso idealizzazioni che frustrano ma aiutano a vivere: il più vero compromesso dell'intera vita umana.

 

scena

L'altra Heimat - Cronaca di un sogno (2013): scena

 

Die Andere Heimat fa piangere, commuovere, sa essere qualche volta ironico ma fa soprattutto sognare, riportando la Settima Arte al connubbio perfetto fra Realtà e Immaginazione. Sarebbe potuto durare ore e ore di più di quelle quattro con cui riesce a paralizzare lo spettatore. Imperdibile, lo si può apprezzare senza la visione degli altri episodi; ma dopo averlo visto, il loro recupero è necessario. 

 

scena

L'altra Heimat - Cronaca di un sogno (2013): scena

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