Regia di Fabienne Godet vedi scheda film
Il protagonista fondamentale di questa pellicola è Antoine Dumas, un uomo che ha definitivamente chiuso con il mondo anonimo, si concentra soltanto sul proprio lavoro di fotografo, prendendosi cura del bambino Matèo, figlio della vicina di casa, con il quale trascorre le giornate, aiutandolo nei calcoli e raccontandogli fiabe. Antoine è un uomo cortese, formale, ma nella sua esistenza qualcosa sembra essersi spezzato, lasciandogli un dolore cupo, che si esprime nel suo sguardo, nell’attenzione che ha per i volti degli altri, che riesce a scrutare soltanto nelle sue fotografie, o "nei riflessi intravisti dai finiestrini di un treno", perché oramai si è stancato di un contatto diretto, e affoga la sua esistenza, tornato a casa, in un fumare e bere compulsivo. Comunque il suo dolore in pubblico lo trattiene a dovere, perché l’uomo, come egli stesso ritiene, è un animale che si abitua a tutto, e perciò intrattiene buoni rapporti con la sua capo ufficio (ex amante?), per la quale lavora su commissione, facendo foto per matrimoni, gruppi scolastici, compleanni. E' un fotografo davvero esperto, ma il suo talento viene sprecato su commissioni del genere, senza volere o dare di più all'agenzia per cui lavora.
Se c’è un filo che lo tiene ancora legato autenticamente a questo mondo da cui è astratto, è la musica di Chopin, che ascolta provenire dal palazzo accanto, suonata e interpretata da una giovane donna, di nome Elena. Antoine, come è abituato a fare con i volti umani degli altri, osserva dalla finestra questa giovane donna, fino a fotografarla, mentre suona, mentre pigia i tasti del pianoforte, con quell’audacia che Antoine sente di aver rimosso per lungo tempo, con quella passione e ambizione che non è mondana, ma personale, che per Antoine è tutto, è il senso stesso dell’anima, proprio così come è nel modo in cui Elena suona il pianoforte, e che pertanto egli cerca di catturare nell’obiettivo fotografico, che ora diventa l'anima stessa di Antoine, la sua passione perduta.
Ma poi succede qualcosa. Dopo aver dribblato gli inviti a un veglione di Capodanno tra colleghi, se ne sta volentieri a casa propria con il suo piccolo Matèo, e il caso vuole che la musica di Chopin aleggi nell’atmosfera serale del suo solitario fine anno, mentre tutti, tranne Elena, fanno festa per loro conto. Antoine non fa altro che accertarsi che Elena stia davvero suonando nel suo appartamento nella casa accanto, la scorge dalla finestra, riprende la macchina fotografica per scattarle foto su foto, fino a quando Elena interrompe di colpo la musica, e se ne va. Passano pochi secondi, e Antoine si aspetta di vederla uscire dal cortile, ma dopo un po’ la scorge sul tetto, e come ipnotizzato riprende a fotografarla, scatti su scatti, catturata in una sequenza di foto che la raffigurano come in una danza dionisiaca sul mondo senza più freni, ma in realtà quella danza non è altro che un movimento sussultorio del suo corpo che è in procinto di precipitare, gettarsi giù una volta per tutte. Antoine si riprende dall’ipnotismo e dopo aver assistito in diretta al gesto finale di Elena, la soccorre, e sopravvissuta al suicidio inizierà un legame con lui.
Ora il film potrebbe andare a parare in una storia sentimentale, dove i due sfortunati si danno forza l’una all’altro, si riprendono la vita e ricominciano insieme. E per certi versi noi vedremo un’amicizia, che dopo le prime titubanze da parte di Elena, prende il via, nonostante il contesto famigliare di Elena non sia dei più felici (un fratello sposato rancoroso con il padre, il quale, a sua volta, si è messo con una nuova donna e nel suo pragmatismo antidealista non sa nulla dei desideri profondi dei loro figli); e si viene a scoprire che Elena non soltanto, grazie ad Antoine, recupera le sue forze, in modo determinato con una faticosa fisioterapia, ma riprende gli studi per laurearsi in archeologia, continuando a dedicarsi anima e corpo quale educatrice in un centro per recupero tossicodipendenti. Tutto sembra scorrere. Ma la musica di sottofondo, la ripresa dei primi piani, il rallentamento trasognato del ritmo lasciano un certo margine all’incertezza, all’inquietudine, come se l’idillio prima o poi svanisca.
In questo percorso di amicizia, la regia di Fabienne Godet apre uno spazio immenso sull’esistenza, sul senso del legame o della solitudine, di come l’apertura all’altro sia anche al tempo stesso una rinuncia sottile da quelle sicurezze protettive che riparano dal male senza risolverlo. Non è una cosa da poco tratteggiare un rapporto proteso verso l’eros ma che al tempo stesso non si rivela, si mantiene dentro il solco di una amicizia che lascia trapelare potenzialità, ulteriorità, ma rimane tale. Oltretutto Antoine continua con le sue foto su Elena, fino a ricoprire un’intera parete della sua casa, e deve fare i conti con la gelosia di Matèo, quel bambino sensibile che alla fine era diventato per lui, nella sua solitudine di uomo adulto, il suo migliore amico (tutto questo per dire che l'esistenza è sempre in bilico tra libertà e necessità, tra una possibilità che è si e una possibilità che è no).
Alla fine Antoine decide di invitare Elena a casa sua e di farle vedere le foto, dove è raffigurata in tutti i momenti della sua vita, a partire dalla danza macabra, quando suona al pianoforte, quando si intrattiene a discutere col fratello, e via via fino a ricoprire un'intera parete che parla della sua esistenza. Non ho le parole per descrivere la reazione di Elena. Vi è concitazione nel suo sguardo, rabbia, piacere, delusione, estasi, mentre Antoine cerca di spiegare, ma tutto viene ripreso senza che si senta quello che si dicono, perché quel che conta è la comunicazione gestuale, che alla fine, in tutta la sua ambivalenza iniziale, si conclude con una costernazione da parte di Elena. Sembra essere la rottura, Elena si laurea e gli viene conferito il finanziamento universitario per una ricerca archeologica subacquea in Egitto, mentre Antoine ritornerà alla sua vita, aspettando affannosamente una lettera. Gli giungerà una cartolina, su cui Elena gli scrive che è così innamorata delle ricerche che non tornerà mai più dall’Egitto.
La trama continua con colpi di scena nell’anima, che fanno riflettere su quanto sia fragile l’esistenza, come in fondo sia davvero facile trovare un posto in questo mondo, se ci si dimentica dell’esistenza stessa, e quanto in realtà questo mondo non abbia davvero uno spazio per l’esistenza, della quale però non può non fare i conti. E i conti perciò verranno fatti, e anche la famiglia di Elena dovrà farli, soprattutto il padre: li vedremo alla fine, presenti a una mostra fotografica di Antoine, per contemplare nelle foto i segni di un’esistenza, le sue possibilità, le sue scelte, la sua dimensione più impenetrabile, quella non-visibile e ad un tempo non-nascosta, lasciando lo spettatore attonito di fronte al mistero che ciascuno di noi è ma a cui si resta disabituati.
Per concludere, posso dire che il film è una bella pagina, umanistica, sul senso dell'essere-nel-mondo, in difesa dello spaesamento contro l'ostinazione del già dato, del fatto compiuto, per aprire verso l'altro, con tutti gli abissi che tale apertura comporta, al di là delle facili certezze che rassicurano ma spengono.
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