Regia di Edoardo Winspeare vedi scheda film
L’egemonia cinese sull’industria manifatturiera locale costringe una piccola impresa familiare, mandata avanti con mille sacrifici da due fratello e sorella quarantenni del salentino, a chiudere i battenti con alle spalle un debito bancario che vede i componenti costretti a cedere casa e laboratorio per evitare il peggio. E mentre l’uomo si trova costretto ad emigrare in Svizzera dopo un balordo tentativo di trasposto di clandestini mal organizzato dal marito separato della sorella, quest’ultima accetta con rassegnata dignità di trasferirsi nella campagna che ancora la famiglia possiede, andando a vivere in una casupola nei pressi di una cava di tufo assieme alla madre, alla figlia diciottenne viziata e sfaticata, e alla sorella, aspirante attrice senza talento.
In quel regno a cielo aperto, punto fermo di una caduta rovinosa senza precedenti, dove una natura materna e generosa grazie alla sua terra rossa e fertile soppianta l’industria ed il commercio con cui ci si era sfamati fino a quel momento, iniziando poco a poco a sopperire alle esigenze almeno fisiologiche di base di quel nucleo familiare tormentato dalle sventure, si ricomincia a sopravvivere, poi a vivere rifuggendo le tentacolari offerte speculative di chi già gli ha sottratto le proprietà precedenti ed ora torna, viscido come un serpente, a prefigurar loro scenari di opulenza infidi e illusori. Tutto il film è incentrato sulla figura dominante e combattuta di Adele (la bravissima Celeste Casciano, moglie di Winspeare), una donna destinata a prendere costantemente in mano le redini ed i destini di una vita che non è solo la sua, ma pure dei suoi cari, pagando il prezzo di un dispotismo e di una crudezza che in realtà sono le cause esterne e contingenti a disegnarglisi attorno. Un personaggio costruito ed interpretato con una partecipazione dirompente: una Adele che si accanisce contro la vile ignavia della figlia bella ma sconsiderata ed indolente, contro un ex-marito nullafacente che la accusa immancabilmente di essere una inguaribile pessimista e porta iella.
Poi la vita, nel suo corso e nei suoi eventi, crea le condizioni ideali per spiccare il volo dando la possibilità, almeno ad alcune persone, di rifarsi una vita (vedasi il matrimonio tardivo della nonna vedova, la gravidanza inizialmente indesiderata ed incauta accorsa alla figlia, e lo stesso sentimento amoroso che torna a incrociare la via di Adele con il ritrovamento di un personaggio della sua adolescenza scolare) o almeno di tentarvi.
In grazia di Dio, presentato alla sezione Panorami all’ultima Berlinale, è il film più riuscito tra quelli (comunque di buona levatura) fino ad ora diretti da Edoardo Winspeare. Legato alla sua terra qui in modo ancora più indissolubile che in passato, il regista italiano con discendenze inglesi nobiliari (ma nato vicino a Tricase, nel leccese) ci incolla alla poltrona con una epopea verghiana moderna appassionante e coinvolgente, ben recitata e diretta con uno stile che punta sul realismo senza farsi sopraffare da uno stile documentaristico che ne smorzi le potenzialità narrative.
Una vicenda che ricalca alla perfezione le tragiche odissee che affliggono da sempre la povera gente onesta e lavoratrice, il ceto umile dalla notte dei tempi sino ad oggi, per opera di un perverso sistema concorrenziale sleale con cui non si può competere: e che dimostra come, nonostante il progresso, la ciclicità tragica di eventi e delle vicissitudini possa essere affrontata anche o più agevolmente col coraggio alimentato dalla consapevolezza di essere parte di una famiglia o comunque di un nucleo tenace ed affiatato, che sa ritrovarsi anche dopo le più pesanti ripicche per sopravvivere alle intemperie devastanti che incombono su tutta una vita.
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