Regia di Edoardo Winspeare vedi scheda film
E’ proprio vero che “ogni pietra alza parete”. L’idea del ciascuno e del tutto. Che in tempi di siccità, qualsiasi goccia può far traboccare arsure. Un colpo di vento, farla girare, questa maledettissima vita di noi umani, per ognuno dei quali il vento fa il suo giro. Lo sa da tempo, il bravissimo regista, Edoardo Winspeare, sempre più credibile nelle cose che racconta (qualità molto rara fra quelli che hanno la pretesa del racconto), reale nelle sue visioni, animato da compassione per quel che rimane ancora di buono negli uomini.
Perché In grazia di Dio viene dopo L’anima attesa (2013), il film sulla vita di un uomo che ha fatto della sua esistenza un completo dono, don Tonino Bello.
In questo suo nuovo film, Winspeare racconta una pagina quotidiana, non tralasciando il suo continuo interrogativo sulla condizione esistenziale che ha origini dai tempi del suo Sangue vivo (2000).
La storia della (dis)grazia, scritta e vissuta sulla propria pelle, oggi, da quattro donne, della stessa famiglia, nel basso Salento, sono il perno principale su cui Winspeare avvita e fa combaciare ogni motivazione a vivere. E come Lecce, potrebbe trattarsi di Milano, Roma, Palermo. Perché si tratta dell’ennesima storia di vinti, a causa del fallimento dell’impresa familiare e il pignoramento della casa, per cui sembra che tutto frani, compresi gli affetti. E allora, si comprende che l’unico modo per venirne fuori, potrebbe essere quello di trasferirsi in campagna, lavorare la terra e vivere con il baratto dei propri prodotti. Questo ritorno alle origini, una scelta obbligata, sarà l’inizio di una catarsi per tutti i protagonisti del film, che assomigliano tanto ai personaggi di Verga, ma anche a quegli altri tipici delle parabole. Visto che il regista torna a quella semplicità tipica delle parabole, al modo di quella del seme che, piantato in terra, concimato, con la grazia della luce del sole, produce frutti. Così le esistenze di questa famiglia del Sud rinascono. E dinanzi anche alla più schiacciante crisi, poi, si è più forti. Possono soffiare venti impetuosi, di quelli che nel film imperversano continuamente, ma se sei parte di una comunità, l’appartenenza, la solidarietà e la compassione ti irrobustiscono. E allora, è possibile anche rinascere continuamente, così come lo è per Salvatrice, nonna inaspettatamente innamorata e sempre speranzosa, che anche sua figlia, Maria Concetta, nonostante la sua robustezza e l’incapacità di recitare, possa sperare ancora di riuscire a diventare attrice. Che Adele e Ina, disilluse e svuotate dalla vita possano concepire una vita nuova… La campagna, per queste quattro donne, assurge a simbolo di quel luogo dove “passata è la tempesta”, dove ritrovare quella stessa Italia, povera e arretrata, “Siamo nella stessa condizione della Grecia”, burocratizzata dal sistema Equitalia, ma che ha tempo e voglia di rinascere, semplicemente per desiderio di felicità, per esigenza di vivere quello stato di grazia a cui lo Stato non può badare: “Come facciamo a pagare, non siamo mica politici!” dirà il fratello ad Adele
E’ come se il regista, nato in Austria e cresciuto a Depressa, abbia conservato da sempre, quel sangue vivo ch’è proprio di chi si aspetta sempre miracoli nella sua vita, nonostante le crisi, le tempeste e il malessere.
Con uno sguardo semplice, davvero pari a quello dei narratori di storie classiche, Winspeare dipinge quadri agresti, in cui la bellezza riluce e si confonde con la stessa terra e con il colore dei suoi frutti. I luoghi sono abitati dalla trasparenza di figure che si muovono nella lentezza tipica della vita dei campi, dilatati, quasi senza tempo. In questa parte di terra il senso religioso è altissimo, divino, sebbene della religione, anche in questo film sia messa in bella mostra il suo retaggio culturale popolare. Non proprio positivo. E’ bellezza l’idea della incompiutezza, un rischio che il regista si assume, visto che, alla fine del film, nessuna esistenza si risolve, si compie davvero: tutto è un continuo divenire, allo stesso modo del ciclo naturale della vita della natura, compresa quella umana.
Il film di Winspeare emoziona, perché tutto il cast, ha potuto sperimentare quello stato di grazia che è tipico di coloro che “ci mettono il cuore quando fanno le cose”, parole che si esprimono nello stesso film. Ma che Winspeare fa diventare l’essenza di una vita, dedicata al cinema che crede nel cambiamento delle nostre miserie.
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