Regia di Andy Wachowski, Lana Wachowski vedi scheda film
Con Jupiter ascending, i (o forse è meglio dire le) Wachoswki creano un nuovo mondo, anzi un nuovo universo, riformulano il percorso dell’umanità ma il fuoco sacro dell’invenzione sembra poco più di un lontano ricordo.
Questo almeno sotto il punto di vista dell’equilibrio, perché poi all’interno del film sono instillate una marea di suggestioni e gli spunti – ripresi, mutuati o inventati di sana pianta – sono molteplici e provenienti anche da aree identitarie impensabili, o quanto meno ardue, per una space opera (come Il mago di Oz e Cenerentola).
Il quotidiano vivere di Jupiter Jones (Mila Kunis) non è certo dei migliori, ma nonostante tutto continua a sognare; improvvisamente scopre di essere più importante di quanto creda, braccata da creature aliene con il compito di ucciderla e un essere sconosciuto, nato da un incrocio genetico, di nome Caine (Channing Tatum) che si frappone per proteggerla.
In questo modo scopre di essere l’oggetto di un’aspra contesa dinastica, con i fratelli Balem (Eddie Redmayne) e Titus (Douglas Booth) sul piede di guerra, così che dalle sue scelte e dalla sua sopravvivenza può dipendere il futuro dell’universo conosciuto.
Difficilmente Andy e Lana Wachowski hanno la mano leggera, già con Cloud Atlas erano andati ben oltre i canoni della creatività (senza raggiungere risultati unanimemente considerati), e pur entrando a piè pari in un organismo tipicamente spettacolare (e costoso, con i suoi 175 milioni di dollari di budget), con Jupiter rincarano la dose, in forma più leggibile, ma comunque troppo ornata e difficile da assimilare.
Infatti, c’è troppo materiale per poter fornire un unicum distillato sulla durata di due ore, per una ricetta che non può evitare di proporre spiegoni interminabili che, uniti a grandi quantità di effetti speciali, rendono faticoso trovare un perno equilibrato, per quanto, in una per niente piacevole contrapposizione, il nocciolo sia tremendamente alla portata di qualunque tipologia di spettatore.
In più, la situazione peggiora quando l’energia cinetica aumenta, il caos sopraggiunge automaticamente, togliendo tempo prezioso per apprezzare le qualità dei dettagli di trucco, costumi (Kym Barrett) e scenografie che, laddove è consentito, optano per un complicato lavoro sul campo piuttosto che sul facile impatto digitale.
In una specie di marasma – all’insegna di continue pulsioni e repulsioni - non vi è particolare gloria per gli interpreti; a dire la verità, così agghindato Channing Tatum non è nemmeno tanto malvagio, Mila Kunis rimane un elemento principalmente estetico, mentre Eddie Redmayne si confronta con un personaggio periferico e costruito con esasperazione, tanto che il rivale, fratello nella finzione, di set Douglas Booth fa più bella figura di lui.
Tra tutto - tanto, troppo o nulla che sia – rimangono uno sfarzo smodato, complicazioni fuori luogo e piccole gemme, come l’intramezzo burocratico, che per formulazione ricorda la prova all’interno de Le dodici fatiche di Asterix, per la procedura di ascesa della protagonista che culmina con una breve partecipazione di Terry Gilliam.
Tracotante, tra invenzioni e banalità, un mezzo fallimento (che commercialmente parlando, diventa proprio completo).
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