Regia di Andy Wachowski, Lana Wachowski vedi scheda film
Sorprendente, nonostante le voci che lo annunciavano come un disastro. Con Jupiter i Wachowski radicalizzano la loro inarrestabile decostruzione del blockbuster. Purissimo cinema transgender, cosa che si era iniziata a intuire intorno al secondo Matrix, teorizzata in Speed Racer e messa in scena come genesi alternativa in Cloud Atlas, Jupiter è un cinema sensuale e sovversivo. In grado di abolire la differenza oppositiva maschio/femmina per ipotizzare una dimensione schiettamente insurrezionale, intesa come trasvalutazione dell’immaginario erotico: scandalosamente fluido, come Un sogno lungo un giorno post-blockbuster, è cinema d’avanguardia in grado di porsi dialetticamente in dialogo con la retorica young adult e blockbuster. Nella favola di una regina del mondo che sorge dalle fila dei sottoproletari più umili (di origini russe…), nella moltiplicazione mutante dei corpi (evidente l’influenza esercitata da Babel-17 di Samuel R. Delany), i Wachowski creano un impero dei segni gioiosamente ludico e teorico. Parabola antiliberista, visionaria, space opera rutilante come se Philip J. Farmer ed Edgar R. Burroughs avessero concepito lo script in tandem. E poi Channing Tatum, in laser rollerblade, spinto verso l’inorganico (con omaggio al John Phillip Law di Barbarella), licantropo con le orecchie a Spock che anela il corpo della sua padrona. Jupiter è l’oltre-cinema più filmico mai immaginato. Un erotismo tutto nuovo. Popolare e democratico.
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