Regia di Bryan Singer vedi scheda film
Piccola, doverosa, premessa: se mostrate le scultoree chiappe di Hugh Jackman allora, per par condicio, per piacere, per parità di genere razza specie e quant'altro, sarebbe stata cosa buona e giusta inquadrare pure, che so, quelle di Jennifer Lawrence. Tanto per fare un nome. Preambolo chiappico chiuso.
Per nulla chiusa, dati gli ottimi riscontri finora ottenuti e destinati a ripetersi nuovamente, è la saga vincente degli X-Men.
Merito di Bryan Singer & company, che hanno avuto la bravura e la fortuna di portare avanti il progetto risvegliando dal coma in cui sembrava essere caduto dopo il terzo capitolo. Svecchiandolo e dandogli nuova linfa, facendo ricorso ad un vecchio escamotage - il tuffo nel passato (da cui il prequel X-Men. L'inizio, diretto da Matthew Vaughn) - ed azzeccando almeno un paio di stelle che sarebbero presto esplose. Sì, Michael Fassbender e la Lawrence.
Per questo ulteriore capitolo Singer decide dunque di ritornare in cabina di regia avendo a disposizione un cast all-star davvero impressionante. E replicando la formula precedente: un altro espediente (il viaggio nel tempo, non del corpo, ma della "coscienza", di Wolverine) permette di riunire nello stesso film i vecchi e i nuovi protagonisti della serie.
Il futuro è assicurato.
Così, in X-Men - Giorni di un futuro passato, si assiste alla più classica (e solida) delle formule che determinano il continuo alternarsi tra il passato - anno 1973, periodo ancora ingenuo ma contenente già i germogli del male - e il tetro disperatissimo presente, nel quale invincibili robotiche "sentinelle" (il termine, ma anche alcuni aspetti, evocano quelle di Matrix) rintracciano ed eliminano i mutanti. Un genocidio.
Salvatore suo malgrado - ancora una volta - Wolverine: la mission impossible è quella di modificare in particolare un evento scatenante di quell'anno e che riguarda la figura centrale di Raven/Mystica, al fine di cambiare il futuro/presente. L'ultima speranza, prima che l'ennesima sortita delle sentinelle sia quella definitiva.
Un accumulo che, inevitabilmente, porta al sacrificio di alcuni personaggi, poco più che comparse (Halle Berry su tutti), e ad accrescere esponenzialmente gli spazi per altri. Sì, Fassbender e Lawrence; e Jackman e James McAvoy.
Laddove, palesemente, non vi è traccia di alcuna complessità cui porterebbe naturalmente l'intrecciarsi delle vicende delle due linee temporali: lo schema è semplicissimo e "comodo" (se la missione riesce il futuro è salvo e nessuno avrebbe memoria della storia riscritta, tranne il solo Wolverine), senza che nessun effetto collaterale del continuum spazio-temporale possa influire sul corpo (finzionale e filmico).
In fondo si tratta solo di un'altra avventura, nella quale i mutanti sono alle prese con "nuove" temibilissime minacce. I due luoghi distanti - teoricamente - del "tempo" come normali luoghi fisici, con uno sede principale (il passato) e l'altro in posizione subordinata e statica, buona giusto per scatenare effetti speciali (non il 3D, che serve solo per qualche momento di stacco, in stile videogame) e costruire una elementare facciata di pericolo imminente. Ne risentono ovviamente gli stessi - tentativi di - ritratti personali, poiché ad essere un minimo sondate e sviluppate sono le psicologie dei giovani Xavier, Magneto, Mystica, con conseguente spreco d'attori (oltre alle vecchie controparti, da segnalare anche Ellen Page, nei panni di Kitty Pride/Shadowcat, colei cioè che ha il potere di rimandare indietro nel tempo).
In sintesi, l'intero impianto (anche nelle conclusioni retoriche ammantate di morali spicce) è costituito da elementi ripetitivi di sicura efficacia; il che svela anche la mera natura dell'operazione medesima: la possibilità, cioè, di proseguire la saga con concrete possiblità di consenso (soprattutto commerciale) avendo effettuato una sorta di felicissimo "auto-reboot" (X-Men: Apocalypse è già in produzione, uscita prevista per il 2016).
Al netto di tali considerazioni, però, va senz'altro rilevato che Singer sappia il fatto suo: la sua direzione precisa e solida permette una visione che scorre fluida, senza inutili appesantimenti, tenendo così sempre desto l'interesse del pubblico. Meglio, come si notava, la parte ambientata nel '73, anche per via dei colori più accesi e di una maggior concentrazione nei contenuti e nelle interazioni dei personaggi.
Da segnalare almeno un paio di sequenze gustose, costruite con lampante abilità. La prima vede il giovane Pietro Maximoff/Quicksilver (interpretato da Evan Peters, ottimo innesto, al pari dello scienziato cattivo Peter Dinklage) - che è la sola figura di alleggerimento, funziona in ogni scena in cui compare - impegnato in un salvataggio alla velocità della luce, con le immagini che si susseguono in ralenty alla "sua" concezione del tempo. La seconda è girata con effetti da filmino super-8, con Magneto e Mystica protagonisti di un incontro/scontro d'intensità crescente, per via anche dei toni drammatici e della tensione emotiva ad opera dei sempre eccellenti Michael Fassbender e Jennifer Lawrence.
Si prevedono giorni di un futuro passato a raccogliere successi (e contare soldi).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta