Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Un’attrice che farebbe qualunque cosa per ottenere il ruolo che fu di sua madre morta; un divetto imberbe e viziato, con genitori che faticano a gestirlo; una ragazzina con il volto sfigurato; un tassista che scarrozza turisti e sogna la celebrità. Una Hollywood popolata da mostri, in uno scenario da basso impero; ogni tanto viene buttato lì un nome dello showbiz come se i personaggi provassero il bisogno fisico di riempirsene la bocca, e in una scena si vede persino Carrie Fisher nei panni di sé stessa. C’è chi ha apparizioni mistiche alla Fantozzi, c’è chi recita ossessivamente Libertà di Éluard. Cronenberg inquadra il tutto con programmatica sgradevolezza (è palesemente compiaciuto nel mostrare Julianne Moore seduta sulla tazza del wc) ma fatica a trovare qualcosa di nuovo da dire, anche perché da Viale del tramonto è passato un bel po’ di tempo. Così sembra voler puntare sulla quantità, più che sulla qualità: non basta un legame incestuoso? e allora mettiamocene un altro. Non bastano un raptus omicida, un incendio letale, un annegamento? raddoppiamoli, e se necessario triplichiamoli. Il duplice suicidio finale è un suggello in fondo tenerissimo. Ma il confronto con The canyons di Schrader è perdente.
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