Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Dopo il discusso e in parte incompreso Cosmopolis (2012) incentrato sull’ambiente dell’alta finanza, l’eclettico David Cronemberg torna alla regia puntando stavolta l’obiettivo contro il viziato e vizioso mondo dello showbiz hollywoodiano, disvelandone e indagandone peccati, ombre, falsità e ingiustizie, con il consueto occhio acido e spietato.
Che spesso ci sia del marcio dietro l’apparenza dorata delle stelle del cinema o della tv, non è una rivelazione eclatante, ma la sceneggiatura riesce a coinvolgere intrecciando più storie tragiche, più vite disastrate da rapporti morbosi e freddi che viaggiano su strade parallele e che nel momento in cui finiscono per collimare, collassano inesorabilmente le une sulle altre.
La protagonista è Agata (una credibile Mia Wasikowska), appena maggiorenne ma con alle spalle un passato segnato da un profondo trauma che l’ha sfigurata nel corpo e ancor più nell’anima, condizionando la sua esistenza. La ragazza, dopo un periodo di riabilitazione psichiatrica e fisica, arriva (o meglio torna, come si scoprirà in seguito) a Los Angeles, chiedendo al primo costoso autista in cui si imbatte (Robert Pattinson, nel ruolo marginale di un aspirante attore, a suo modo determinante nel finale) di condurla nei luoghi abitati dalle stelle dello spettacolo, dei quali ha tracciato la mappa del titolo. In realtà il suo scopo è ricongiungersi alla famiglia che l’ha abbandonata, una famiglia disfunzionale: il padre (un allucinato e freddo John Cusak) è un terapista e motivatore che rappezza le vite altrui, ignorando i propri problemi, la madre (Olivia Williams, la meno brillante del cast) oppressa dai sensi di colpa, è dedita unicamente ad assicurare gli ingaggi più vantaggiosi per il figlio tredicenne (Evan Bird, esordiente che se la cava), bambino prodigio già drogato e ossessionato dalla paura di non essere più sulla cresta dell’onda per la concorrenza di altri attori più piccoli e simpatici. Grazie ad un aggancio fortuito, Agata diventa l’assistente personale di Savannah Segrand (intensa Julianne Moore) attrice ultraquarantenne perseguitata dalla competizione con il fantasma della madre defunta, anche lei attrice, della quale non si sente all'altezza, e con le colleghe più giovani che le vengono preferite dai registi.
La costante ricerca di fama e soldi è il motore immorale che spinge le azioni dei personaggi, e che li fa scontrare con una realtà falsata, ipocrita, inconsistente, fondata sulla finzione ovunque e comunque. Dramma, thriller psicologico e noir sono rispecchiati da una recitazione algida e viscerale al tempo stesso, da una regia asciutta e impietosa, e da una fotografia razionale dove la cupezza e la corruzione delle anime contrasta con lo splendore dei paesaggi, del cielo e delle case.
Complesso, contorto, quasi commovente nel finale nichilistico eppure amaramente romantico, ma poco digeribile per palati delicati e non abituati allo stile dissacratorio e grottesco dell'autore in questione.
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