Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Da oltre mezzo secolo le stelle non sono più quelle che vediamo brillare nel cielo, sono fatte di carne e ossa, a volte plastificate, finte, hanno i volti di attori e attrici, qualcuno ha creato un sistema, un firmamento, nel quale racchiuderle, un olimpo in terra, questa è Hollywood. Ci troviamo, infatti, a Los Angeles, tra le case delle stars, ci muoviamo in limousine, entriamo negli studios. La possibile mappatura di questa città, delle celebrità che vi risiedono diventa il tentativo di creare una mappa del presente, una serie di punti uniti che traccino le coordinate del nostro mondo, ma questo è impossibile (ce lo ripete il postmoderno con la sua perenne frammentazione) e allora quella che osserviamo è un’articolata rappresentazione della realtà, non la nostra, ma quella della vita degli dei odierni (le stelle del cinema sono divinità), disumana nella sua insensibile astrattezza, perché, in fin dei conti, al cinema, ogni realtà è pura finzione.
Ci si sposta in un terreno mitico e archetipico, dove si affrontano tabù millenari: l’incesto, la morte, il sesso. Cronenberg intreccia legami familiari in proiezioni (auto)distruttive, si manifestano allucinazioni (bambini morti, fantasmi), i personaggi sono sempre vicini al proprio abisso interiore, si muovono come spinti da forze misteriose, gli incubi del passato tornano a ingannare la mente, confondendo i vivi, le psicosi strisciano, salgono dentro, si concretizzano in azioni violente e impulsive, gli psicofarmaci tengono sotto controllo i demoni, poi le barriere crollano, l’orrore plasma le immagini.
Queste divinità diventano reali attraverso il loro corpo, manifestandosi al resto del mondo attraverso immagini che le riproducono, la giovinezza è il bene supremo, l’unica forma in cui sia permesso apparire (chi è vecchio, malato, deturpato viene cacciato da questo olimpo), ragazzi e ragazze preadolescenti sono già ricchi, autoritari, tirannici, vampirizzano quello che hanno intorno con la loro sete di denaro, successo, popolarità, poi crescono, invecchiano, consumano droghe, contribuiscono a mantenere vivi i loro mondi artificiali, insieme a produttori, registi, manager, mondi nei quali rimnagono intrappolati, per sempre.
La mappa tracciata da Cronenberg non dà direzioni precise (tutto il suo cinema è un continuo porre domande), suggerisce, invece, deviazioni, percorsi ipotetici, disegna costellazioni perverse, sotto di esse un mondo caotico (cerebrale nella sua irrazionalità, non visionario come accade in Lynch), dove la linea di confine del paradiso con l’inferno non è più quella tra la terra e il cielo ma fra i narcotici e ciò che ci divide dalla loro costante assunzione.
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