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Maps to the Stars

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Maps to the Stars

di myHusky
5 stelle

"L'idea di essere perseguitato dai ricordi è una cosa reale per me, lo capisco. Ho perso i genitori moltissimo tempo fa e posso dire di essere perseguitato; li sento, li ascolto, li vedo, ne sento l'odore. Non penso a loro come fantasmi veri, che esistono, ma sono nella mia memoria e nella mia mente. Quindi un personaggio perseguitato dal fantasma mnemonico della madre ha perfettamente senso dal mio punto di vista."

(David Cronenberg)

 

Punto per punto, stella per stella, David Cronenberg costruisce il suo nuovo cosmo.

È un universo scintillante e patinato quello della Hollywood raccontata dal grande cineasta canadese che, con Maps to the Stars, sembra voler continuare nella direzione intrapresa con il precedente Cosmopolis

Ma dietro l'apparenza, dentro le ville delle grandi stelle, si delineano i punti di una mappa oscura. Frustrazioni, inquietanti apparizioni e sogni perduti. Dietro l'attore o l'attrice che porta avanti il suo glorioso progetto, l'uomo. L'essere umano, feroce e perennemente impasticcato, che teme il declino, che teme l'inferno ("un mondo senza psicofarmaci"), che ha paura e, per questo, vuole liberarsi della propria carne.

Maps to the Stars è un nuovo sguardo, è un racconto che si distacca dai corpi per provare a scrutare nel più profondo dell'anima umana e scoprirne finalmente i fantasmi.

È un'operazione complessa e rischiosa che, però, vale la pena di essere analizzata. 

 

La mappa di David Cronenberg è ricca di stelle. C'è Havana Segrand, un'attrice di mezza età ossessionata dalla madre morta in un icendio a metà anni '70 e perseguitata dal suo fantasma; c'è la famiglia Weiss, composta dal Dr. Stafford Weiss, la moglie Christina e il figlio tredicenne Benjie, piccola star della televisione che ha imparato fin da subito a fare i conti con il mondo di Hollywood; infine c'è Agatha, una misteriosa ragazza con il volto sfigurato, vero e proprio anello di congiunzione tra i punti dell'oscuro cosmo cronenberghiano. 

Maps to the Stars è uno specchio che prova a spogliare l'essere umano di ogni finzione. La gloria si tramuta in terrore, le paure si trasformano in inquietanti visioni. L'attore (ed è forse questa la condizioni più degradante e minacciosa) si rende conto di non essere sul punto di recitare una parte. Tutto, in altre parole, è mostruoso in quanto reale. 

E poco importano al buon David i corpi, le carni. Cosmopolis avrebbe dovuto farcelo capire: è la mente, la condizione psicologica che regna sovrana. Allora Havana non riesce a scacciare il fantasma della madre Clarice e il giovane Benjie comincia a sentirsi perseguitato, anche lui come Agathe, da strane presenze che annebbiano la sua lucidità. Presenze che, come dichiara lo stesso Cronenberg, sono "le nostre ossessioni". Ancora una volta, dunque, proiezioni che si manifestano dall'interno verso l'esterno. 

Ed è chiaro, in tutto questo, che la critica non può essere circoscritta solo ed esclusivamente al micro-cosmo di Hollywood e delle star del cinema. Tutti noi, in quanto esseri umani, siamo condannati a combattere contro i nostri fantasmi, contro le nostre paure e sappiamo che, in certi casi, l'unica soluzione per salvarsi coincide con la scelta più tragica.

Complimenti David, una profonda ed inquietante riflessione.

Ma siamo proprio sicuri che il regista di Videodrome sia riuscito, su di un piano strettamente realizzativo, a trasmettere tutto questo?

Andando più a fondo, infatti, tra gli intrecci del racconto, ci rendiamo subito conto della fragilità di questo Maps to the Stars che, nella sua continua ricerca di stupire lo spettatore, finisce per perdere tutta (o quasi) la sua forza. Non c'è sconvolgimento, non c'è una vera e propria critica efficace. Il successore di Cosmopolis non provoca, non colpisce, ma preferisce, piuttosto, accumulare situazioni su situazioni, visioni su visioni, senza però riuscire a scavare realmente nel profondo, nelle corde dell'anima. Se un tempo anche solo una breve inquadratura, uno sguardo, una videocassetta che cominciava respirare riusciva a sconvolgere lo spettatore, oggi nemmeno una serie di fantasmi e un'uccisione a colpi di statuetta da festival cinematografico sembrano poter smuovere veramente qualcosa. David Cronenber appare stanco, quasi svogliato, e sembra non riuscire a credere nemmeno nella sceneggiatura scritta per lui da Bruce Wagner.

Maps to the Stars procede per eccessi, svelando così i limiti stessi della finzione e di un racconto che, a conti fatti, non riesce a provocare e finisce solamente per lasciare troppe situazioni irrisolte. Perché, dispiace ammetterlo, l'ultima fatica del cineasta canadese (un po' come era successo con il precedente Cosmopolis) brilla solo per la sua forma e per la maestria del suo autore. Ma tutto il resto non convince.

Tutto il resto è un inutile e svogliato eccesso.

 

Nonostante l'ultima fatica di David Cronenberg fatichi parecchio a trovare un senso nel groviglio di eccessi e di accumuli messi in atto, riesce comunque a distinguersi, come detto prima, nella sua forma e nell'innegabile abilità e professionalità di uno dei più grandi maestri del cinema contemporaneo (e lo dico da non cronenberghiano).

Maps to the Stars getta la sua ancora di salvataggio. Perché in fondo l'intrattenimento non ci viene mai negato e quel tanto agognato senso di inquietudine e angoscia, in certi momenti, riesce a mostarsi. Merito di una regia impeccabile (e questo evidenzia le notevoli problematiche della sceneggiatura) capace di immergere lo spettatore, anche se solo in alcuni momenti, all'interno di quell'oscuro e malato cosmo di falsità tanto luccicante quanto buio ed inquietante. 

Niente da dire, poi, sulle interpretazioni: una meravigliosa Julianne Moore (Prix d'interprétation féminine al Festival di Cannes) spicca nel ruolo dell'ossessionata attrice Havana Segrand; John Cusack è perfetto nei panni dell'impassibile Dr. Stafford Weiss; Mia Wasikowska e Evan Bird si mostrano assai apprezzabili nelle vesti, rispettivamente, della problematica Agathe e dell'arrogante Benjie Weiss. 

 

Maps to the Stars prova a sconvolgere e, nel gettare i suoi personaggi nello sconforto e nella disperazione di un mondo feroce pronto ad inghiottirli definitivamente, prova a trasferire le medesime sensazioni al suo pubblico. Ma è un tentativo fallito, perché poco funziona, poco convince nell'ultima fatica di David Cronenberg. 

Non possiamo, purtroppo, limitarci alle apparenze, alla patina stilistica di una regia da maestro. Maps to the Stars si perde nei suoi eccessi, nel suo voler sconvolgere a suon di colpi di scena e situazioni al limite dell'accettabile. E siamo così al primo, vero passo falso degli anni '10.

Brutto segno. 

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Ultimi commenti

  1. amandagriss
    di amandagriss

    "... non provoca, non colpisce, ma preferisce, piuttosto, accumulare situazioni su situazioni, visioni su visioni, senza però riuscire a scavare realmente nel profondo, nelle corde dell'anima", "... l'intrattenimento non ci viene mai negato e quel tanto agognato senso di inquietudine e angoscia, in certi momenti, riesce a mostarsi" sì, sottoscrivo le tue parole, un film che alla fine poteva farlo benissimo qualcun altro, mah, speriamo bene per il futuro, ciao myHusky,ottima riflessione :))

    1. myHusky
      di myHusky

      Dopotutto non sono un grande amante di Cronenberg: solo i suoi film più importanti e sconvolgenti sono riusciti a colpirmi veramente. Non è stato il caso di questo "Maps to the Stars". Ma, come dici tu, speriamo bene per il futuro. Grazie, ciao!

  2. EightAndHalf
    di EightAndHalf

    Secondo me c'è un presupposto errato, nella tua pur ottima recensione. La vita "finta" dei personaggi non si frantuma nel "reale". La vita finta di questi personaggi continua ad essere finta perché esibizionista, brutale, ricca (proprio come vogliono loro) di eccessi. Sono tutti già morti, la loro è solo forma, scintillante regia come scintillante recitazione. Da qui l'estetica quasi piatta e l'intento di provocare nella maniera più barbara. Il problema è che non c'è sostrato, c'è Nulla dietro l'apparire dei personaggi. In "Maps to the Stars" si smette di esistere, per fondere le reciproche ossessioni. Questo è chiaramente il mio punto di vista. Però mi fa piacere che tu abbia portato argomentazioni diverse dagli altri detrattori, complimenti! Ciao!

    1. myHusky
      di myHusky

      Beh, io sono partito dal presupposto (analizzando anche le stesse parole di Cronenberg riguardo all'argomento) che per poter avere delle visioni del genere, per portare all'esterno i fantasmi della mente, sia necessario, almeno per un momento, guardarsi allo specchio per come si è realmente. È vero, per la maggior parte della durata del film i personaggi fingono, sembrano già morti. Ma non sempre. Credo che sia proprio il peso della esistenza (reale) a generare i mostri dentro di loro. Ma dopotutto è una questione di punti di vista e, naturalmente, apprezzo anche la tua visione. Il problema principale è che, da non cronenberghiano, ho sempre avuto problemi con i suoi film (solo due o tre sono riusciti a sconvolgermi veramente) e questo "Maps to the Stars" l'ho trovato davvero poco incisivo, particolarmente stanco e alla ricerca di un eccesso che, purtroppo, finisce solo per rovinare tutto il buono che c'era nella pellicola. Ma, come sempre, è una questione di opinioni. Grazie per essere passato Eight, ciao!

  3. lorebalda
    di lorebalda

    Ciao myHusky,
    innanzitutto complimenti per l'ottima recensione, ben argomentata. Ti dico subito che ho assegnato al film quattro stellette, con convinzione: quindi è normale che non condivida tutto quella che hai scritto. In particolare, io non credo fosse nelle intenzioni di Cronenberg provocare lo spettatore; e non ho trovato il film esteticamente piatto, anzi. Il regista lavora sugli stereotipi, ne (di)mostra la ripetitività, e inocula nella struttura (banale?) del film tutte le sue ossessioni.
    Maps to the Stars è l'altra faccia di Cosmopolis, è un film che parte lentamente ma che mette a segno tutti i colpi che si era prefissato. Una riflessione spiazzante sui ruoli che ci costringono (o ci costringiamo) a vivere; la radiografia di un mondo ridotto a mappa, dove è impossibile deviare. Tutto è stato visto, e vissuto.
    Per me, quindi, un grande film, di incredibile lucidità; l'ennesimo viaggio nel contemporaneo di un maestro.

    1. myHusky
      di myHusky

      Credo che il fattore principale della mia bocciatura di "Maps to the Stars" sia dovuto al fatto di non essere mai riuscito ad apprezzare fino in fondo il cinema di Cronenberg.
      Ho visto questo film e mi sono domandato: al di là dell'innegabile bravura e della grande abilità nel raccontare, cos'altro rimane? Io, purtroppo, non sono riuscito a trovare niente.
      Intendiamoci, ho capito l'obiettivo e la volontà di raccontare questo "mondo ridotto a mappa", come dici tu, ma alla fine delle quasi due ore di durata sono uscito dalla sala abbastanza annoiato e amareggiato. L'ho trovato davvero poco incisivo e particolarmente stanco. E così era successo anche con "Cosmopolis" che, però, non mi sento di bocciare completamente.
      Apprezzo comunque la tua opinione, lorebalda. Grazie per essere passato a commentare, ciao!

  4. ed wood
    di ed wood

    concordo husky...cronenberg ha bisogno della materia, della carne per fare il suo cinema...non può campare di soli fantasmi, di presenze immateriali: salta tutta la dialettica fra mente (malata) e corpo (infetto), su cui ha basato i suoi capolavori...è troppo facile accasciarsi sul nichilismo scontato dei nostri tempi e io questo non lo accetto, almeno non dal grande cronenberg! ...altri hanno reagito in modo creativo, variopinto, poetico a questa crisi dell'immaginario (Schrader, Carax)...tra l'altro, una domanda un po' provocatoria che rivolgo a tutti (me compreso): chi l'ha detto che oggi non si possono più raccontare storie nei film? chi ha deciso che siamo giunti alla fine del cinema, dei personaggi, delle storie appunto, e forse della Storia?

    1. myHusky
      di myHusky

      Esatto. I fantasmi, le visioni, la crisi dell'attore e, più in generale, del cinema: tutto scontato e, soprattutto, privo di una vera anima e di una vera forza. Non è di certo questo il vero cinema di David Cronenberg.
      Personalmente, poi, credo che oggi ci sia ancora bisogno di raccontare e di inventare storie nei film. Non si può ridurre tutto alla crisi, alla fine delle storie e della Storia, come tu scrivi, perché questo, a lunga andare, può portare davvero alla morte del cinema. Ma è un interrogativo sul quale si dovrebbe riflettere in maniera approfondita.
      Ciao ed, fa sempre piacere condividere gli stessi pareri.

  5. DeathCross
    di DeathCross

    Io il Film lo vidi l'anno scorso al cinema. Era il mio primo sguardo sul 'nuovo periodo Cronenberghiano' (quello dell'ultimo ventennio, 'non Horror' per intenderci), e le aspettative erano discordanti: da un lato c'era Cronenberg, uno dei più Grandi Maestri del Cinema, in particolare di quello che indaga sulla Psiche Umana. Dall'altro però c'era 'l'ombra del tradimento' verso il Genere che ha reso Celebre il Regista canadese e che da lui è stato rinnovato, ovvero l'Horror: come credo sia noto, per molto 'horrorofili' Cronenberg avrebbe ad un certo punto della sua carriera 'sputato nel piatto che aveva riempito e da cui aveva mangiato' per darsi un tocco 'autoriale', gettando nel cestino le mutazioni del corpo in nome del realismo. Cosa quindi mi avrebbe lasciato questo Film? La conferma della Maestria Registica di un Vero Autore oppure la delusione per una svolta pretenziosa e spocchiosa di un ex-Maestro? Uscito dalla sala, non potevo credere a ciò che avevo visto. Nella compagnia con cui ero andato a vedere il film sorse la domanda "Questo film deve essere piaciuto solo al regista". Io non colsi l'invettiva, e risposi, senza rendermi conto di ciò che era stato appena detto: "Ma***na che Capolavoro". Mi dissero: "Stai scherzando?". Risposi: "Certo che no!"

    Chiusa la digressione romanzata della mia esperienza post-visione, direi che è chiara la mia posizione sul Film: la penso davvero diversamente da te. Infatti, la mia posizione è molto simile a quella di EightAndHalf, e riflette la mia posizione anche su "Teorema" di Pasolini: l'apparente freddo formalismo infatti rispecchia la freddezza e la finzione del mondo spietatamente condannato dal Regista, un mondo vuoto dove i Sentimenti sono visti come mostri da distruggere con farmaci e terapie in quanto ostacoli verso il Successo, la Gloria, il Riconoscimento.

    Comunque, ho molto apprezzato il fatto che tu, invece di stroncare superficialmente l'Opera di Cronenberg (per me uno dei Capolavori del decennio, anche se devo ammettere che seguo troppo poco il Cinema contemporaneo per poter essere credibile), hai costruito una riflessione articolata e onesta, ammettendo la tua posizione non-cronenberghiana e i meriti oggettivi del Film, e senza scadere in frasi infelici come "film sopravvalutato di un regista sopravvalutato".
    Dunque, pur non condividendo affatto la tua opinione, apprezzo moltissimo l'impegno e l'intelligenza con cui hai analizzato l'Opera.
    Avevo già intenzione, e anche da troppo tempo, di riguardarmi "Maps to the Stars" per poter godere di nuovo quest'Opera che tanto mi ha colpito: sicuramente ora la mia intenzione è rafforzata dal bisogno di verificare, alla luce di questa interessante posizione alternativa, se il mio Entusiasmo verrà confermato oppure ridimensionato. Bye!

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