Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Con “Maps to the star”, David Cronenberg irrompe con sguardo pessimista sul dorato mondo delle star, di quegli uomini e donne che in apparenza hanno tutto, ma che soprattutto sempre più vogliono e desiderano che siano ormai navigate o solo alle prime battute (già di successo), con fantasmi riecheggianti ed imbottiti di ogni tipo di farmaco come se questi fossero un elisir di lunga vita (o semplice pagliativo dei propri malesseri).
Benjie (Evan Bird) è un adolescente già star televisiva viziata e mal mostosa che si ritrova a fare i conti con la sorella ripudiata dalla famiglia, quella Agatha (Mia Wasikowska) che ritornata ad Hollywood presta servizio come assistente presso la derelitta attrice Havana Segrand (Julianne Moore).
Quest’ultima vuole ad ogni costo interpretare il ruolo che fu della madre morta in un nuovo film, ma le cose non vanno come si aspetta mentre gli spettri del passato la tormentano e non è la sola.
Ecco in scena la desolazione delle star, anzi sarebbe meglio dire la loro decomposizione, nemmeno poi così lenta, con quel lato spesso nascosto (altre malcelato), dietro i fasti del successo e l’idolatrazione del pubblico che getta uno sguardo nero ed anche complessivo.
In se non un “oggetto” completamente nuovo, ma circuito con uno stile riconoscibile, un alone di mistero (rinvigorito da suoni spesso inquietanti) che si schiude passo dopo passo in un duplice percorso con punte (o vertici bassi) di rara cattiveria umana (il massimo lo si raggiunge con la gioia sfrenata per la morte di un bimbo che riapre una finestra inaspettata), con tantissime citazioni cinematografiche, d’altro canto quello è l’ambiente, fantasmi, e presenze in carne ed ossa, che tornano ad infestare equilibri già instabili.
Tanta carne al fuoco, scenario condiviso da parecchi personaggi, per lo più sviscerati in fase di scrittura ed immortalati da interpreti di varia costituzione, dalla navigata Julianne Moore (prova straniante, di sofferenza indicibile, lei bravissima), alla sempre più lanciata Mia Wasikowska (il suo curriculum sta già raggiungendo una corposità da guinness per la sua età), al giovanissimo Evan Bird, capace di rendere vivida quell’arroganza che non conosce regole ed imposizioni di alcun tipo, mentre Robert Pattinson è un po’ uno specchio per le allodole, parte dal minutaggio secondario, ma collante sia a livello fisico (tra Havana e Agatha) che umano (si barcamena aspettando l’occasione per entrarci in quel mondo).
Un film in crescendo, che si arricchisce lungo il percorso e che trova negli ultimi venti minuti la sua sublimazione, per quanto, se paragonato al resto, il finale in se, nonostante sia congruo e non manchi di essere ad effetto, l’ho trovato non dico banale, ma più omologato nella logica del messaggio (ed anche a livello puramente cinematografico).
Un quadro comunque riuscito, impietoso, intelligibile, misteriosamente affascinante e giustamente respingente (di certo non sarà il pubblico a premiarlo).
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