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Rocky

Regia di John G. Avildsen vedi scheda film

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La recensione su Rocky

di tafo
6 stelle

Un film piccolo senza fronzoli che va diretto. Un film che colpo su colpo ti fa vedere la sofferenza quotidiana di un uomo che ha preso solo colpi bassi nella vita e sa che ne prenderà altri. Rocky non spera più nemmeno in quella possibilità che il suo paese per costituzione concede a tutti. Egli si accontenta di spaventare i debitori di uno strozzino quando non vogliono pagare. Utilizza il suo corpo per vivere e non il suo cervello ma non nel senso che sperava lui per diventare un pugile. Il suo altro obiettivo è quello di conquistare l’amore di una ragazza timida e goffa più di lui, tra i due nemmeno nel momento della seduzione manca l’imbarazzo e l’ impaccio, per diventare l’unico motivo per restare in piedi fino alla fine. L’occasione arriva per il pugile italo-americano di sfidare il campione in carica afro-americano che, perso lo sfidante originale per un infortunio, pensa bene nel duecentesimo anniversario dalla fondazione degli Stati Uniti, di sfidare un paesano di Cristoforo Colombo. Il nostro non può che accettare e si sottopone ad un duro allenamento con l’unico fine realistico di non andare al tappeto. Non c’è epica nel film solo sofferenza dolore e sacrifici, non c’è la bellezza del gesto atletico nel quadrato ma solo la trasfigurazione dei volti, non c’è il marcio che sta intorno al quadrato ma non manca lo show del campione prima dell’incontro, non c’è il tempo e ne la forza per gioire della vittoria morale o del risultato sportivo. L’idea che tutti possono migliorare con l’allenamento e la volontà è indiscutibile e americana al cento per cento. Quando lo stallone italiano prenderà in mano tutta la sua creatura quello che qui è intimo e minimo diventerà abbondante e grande. Quello che qui appare come un moralismo accettabile diventerà propaganda e la redenzione e il riscatto diventeranno accanimento terapeutico.

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