Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Metà celebrazione per Federico e metà testamento per Ettore.
Scola racconta il suo Fellini con un omaggio poco oggettivo e molto appassionato. Il rapporto tra i due era di stima reciproca nelle loro chiaccherate in auto da insonni in una Roma notturna da trascorrere con i personaggi che il momento e il luogo potevano proporre. Il primo conosce il secondo attraverso le pagine di una rivista satirica e umoristica che provava a far ridere il paese prima dopo e durante la guerra prima mondiale poi civile. Ettore leggeva le storie di Federico per il nonno che non poteva vedere e così cominciava a disegnare le sue idee a costruire il suo futuro. Il Marc’aurelio era un’oasi di ironia intelligente in quell’Italia degli anni quaranta, scorrere i nomi di quelle redazioni fa paura ancora oggi per quello che sono stati per la cultura in generale e per il cinema in particolare. Nel caso in cui una bomba avesse colpito quel palazzo con loro dentro ci sarebbe stato veramente poco da ridere nei nostri film. Il teatro cinque di cinecittà ridiventa il luogo del nostro cinema migliore finto negli scenari ma chiaro nei ricordi dove si ricostruiva con l’arte dei sogni e non con la virtualità eccessiva. Tutto viene reinterpretato quando non è Fellini stesso a parlare o quando Scola entra in campo al posto del narratore. La forma del documento è felliniana senza analisi critica della sua opera e senza dimenticare la parentesi attoriale del riminese per Rossellini agli inizi e per il nostro che gli fara interpretare se stesso. Pellicola divisa tra la fantasia del genio pubblica e un rapporto personale e privato sempre viscerale che esalta il legame quasi amoroso tra i due artisti. Film più disegnato che scritto più vissuto che girato. Ultima opera del regista e quindi perfetta per esaltare l’arte e la vita del collega.
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