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Rocco e i suoi fratelli

Regia di Luchino Visconti vedi scheda film

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La recensione su Rocco e i suoi fratelli

di port cros
10 stelle

Melodramma di impatto emotivo devastante, film definitivo sull'epopea della migrazione Sud-Nord, tuttavia al centro pone la vicenda umana di una famiglia e l'eterno topos del conflitto fratricida. Visconti dirige in stato di grazia adottando uno stile elegante e sontuoso pur nella rappresentazione neorealista degli immigrati delle classi popolari.

Renato Salvatori, Alain Delon

Rocco e i suoi fratelli (1960): Renato Salvatori, Alain Delon

 

Negli anni della grande migrazione interna da Sud a Nord Italia la famiglia lucana dei Parondi, formata da un'attempata madre da poco vedova e quattro figli maschi di varie età, si trasferisce a Milano per raggiungere il figlio maggiore già emigrato. Ma l'incontro con la città e soprattutto con la famiglia della fidanzata del giovane non è esattamente tra i migliori. La Milano capitale del 'miracolo economico' è anche una metropoli nebbiosa, grigia e inospitale, soprattutto quando si vive nello squallore dei quartieri dormitorio della periferia, in prepotente espansione proprio in virtù dell'incessante flusso migratorio dal meridione. Affamati di riscatto dalla povertà, i ragazzi si ingegnano a trovare mezzi per sbarcare il lunario, magari aspettando una nevicata che richieda solerti mani immigrate per spazzare le strade, finché una via di affermazione sembra concretizzarsi nella nobile arte del pugilato. L'impatto con il mondo eccitante ma spietato della metropoli, ricco di tentazioni e distrazioni, terremota l'innocenza e l'unità dei fratelli Parondi, con Simone (Renato Salvatori) e Rocco (Alain Delon) entrambi invaghiti, per la disperazione della mamma, della prostituta Nadia (Annie Giradot). Soprattutto Simone viene trascinato dalle sue debolezze in una parabola discendente violenta e autodistruttiva, mentre il fratello Rocco, protettivo persino oltre ogni logica, cerca ostinatamente di salvarlo da se stesso, passando masochisticamente sopra ad ogni torto ed abuso a cui il fratello lo sottopone.

 

Annie Girardot, Renato Salvatori

Rocco e i suoi fratelli (1960): Annie Girardot, Renato Salvatori

 

Melodramma realista di fattura perfetta e di impatto emotivo devastante, Rocco e i suoi fratelli è uno dei vertici del cinema di Luchino Visconti e del cinema italiano in generale (che anno il 1960 per la nostra cinematografia, se si pensa che uscirono in sala anche La Dolce Vita, L'Avventura, La Ciociara, Tutti a Casa).

La sceneggiatura di Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli e Luchino Visconti è un'opera originale, ma ispirata in parte da varie opere letterarie: Il Ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, Giovanni e i suoi fratelli di Thomas Mann e L'idiota di Dostoevskij. Rocco e i suoi fratelli ci appare così come la versione cinematografica di un romanzo dell'Ottocento, calato però nella realtà sociale anni sessanta del secolo successivo, ma anche come una tragedia greca, divisa in cinque atti, ognuno dei quali prende il nome da uno dei fratelli Parondi (Vincenzo, Simone, Rocco, Ciro, Luca).

E' probabilmente il film definitivo sull'epopea ed il dramma della migrazione da Sud a Nord e da campagna a città, con le arcaiche consuetudini del mondo rurale che si schiantano contro l'inesorabile avanzare dello stile di vita urbano e moderno. Un'opera sul trauma dello sradicamento e della difficoltà di un nuovo radicamento, sul legame con le radici che man mano irrimediabilmente si perdono, e si capisce come la ripetuta aspirazione di ritornare un giorno “al paese” sia espressione di nostalgia più che un progetto che verrà effettivamente realizzato.

Tuttavia al centro dello schermo, più che l'analisi di un grande fenomeno storico e sociale, resta la vicenda umana di una famiglia e l'eterno topos del conflitto fratricida, che ha attraversato la letteratura, l'epica e soprattutto la tragedia di ogni cultura fin da Caino e Abele.

 

Renato Salvatori, Alain Delon

Rocco e i suoi fratelli (1960): Renato Salvatori, Alain Delon

 

Dove la scrittura eccelle è nello studio dei caratteri: l'ambizione arrogante ed il degrado morale di Simone, che è allettato dai lussi materiali della città-vetrina del consumo e del benessere al punto di mettersi a rubare i beni che non può permettersi (prima una camicia, poi una spilla); Simone che si rende conto con rabbia di essere stato masticato e buttato via dal mondo iper-competitivo della boxe ed ha quindi bisogno di affermare con la violenza la sua personalità. E il suo opposto, l'ingenuità gentile ed empatica di Rocco, che non attribuisce nessuna colpa a Simone ma tutte a se stesso, e che nonostante tutto è sempre disposto a perdonare ed aiutare il fratello, come se fosse investito da una missione disperata per salvarlo dalla sua stessa natura. Nonostante la divisione in cinque capitoli, Simone e Rocco occupano in realtà gran parte della scena, relegando gli altri fratelli a ruoli di supporto; tuttavia un personaggio che seppure con poche scene a disposizione si ritaglia un suo significato centrale è quello di Ciro (Max Cartier), il fratello che si adatta e si accontenta di una banale ma operosa vita da operaio dell'Alfa Romeo e del matrimonio con una "brava ragazza": è Ciro a chiudere il film, a rappresentare che quell'agognata speranza di riscatto potrà venire dalla concretezza, dall'impegno e dalla fatica del quotidiano.

 

Max Cartier, Rocco Vidolazzi

Rocco e i suoi fratelli (1960): Max Cartier, Rocco Vidolazzi

 

Visconti dirige in stato di grazia, coniugando alla perfezione rigore formale e approfondimento narrativo, sapendo far esplodere il dramma con violenza inaudita o evocarlo con sottigliezza tagliente (potente la scena in cui la madre durante i festeggiamenti nel caseggiato a cui manca solo Simone si convince di aver sentito bussare, ma quando aprono non c'è nessuno). Da antologia la composizione studiatissima delle inquadrature, le carrellate fluide ed il dinamismo dell'immagine (la rissa fuori dal palazzetto dello sport, il viaggio in tram dei fidanzati con la città che scorre fuori dagli ampi finestrini), adottando uno stile elegante e sontuoso pur nella rappresentazione neorealista dell'ambiente sociale degli immigrati delle classi popolari .

La smagliante fotografia Giuseppe Rotunno valorizza i bianchi e neri in tutta la loro gamma, con una tendenza ai contrasti forti e all'espressività (nel fotogramma in cui Simone bussa, stavolta davvero, alla porta di casa sembra avvolto dall'oscurità scaturita dal delitto che ha compiuto).

Per completare il quadro, la colonna sonora di Nino Rota all'altezza dei suoi lavori migliori con Fellini e Coppola.

 

 

 

scena

Rocco e i suoi fratelli (1960): scena

 

 

Per quanto riguarda il cast internazionale, Alain Delon (doppiato da Achille Millo) era il volto angelico e malinconico che Visconti cercava per incarnare il candore di Rocco. Renato Salvatori, seppur anch'egli doppiato (da Riccardo Cucciolla), offre una prova straordinaria, ritenuta la migliore della sua carriera: il suo Simone sembra man mano inghiottito da un'oscurità dell'anima che lo consuma dall'interno e lo vediamo decomporsi, fisicamente e moralmente, sullo schermo. Altra grandiosa prova è quella dell'attrice greca Katina Paxinou doppiata da Cesarina Gheraldi, interpreti della mamma Parondi, testarda matriarca che più di ogni altro personaggio vive la lacerazione tra il mondo arcaico e contadino della Basilicata in cui ha vissuto l'intera esistenza e la nuova realtà milanese moderna verso cui ha fortissimamente voluto emigrare, ma che non può comprendere ed ove è costretta ad assistere impotente agli effetti distruttivi del nuovo mondo sulla sua prole.

 

Katina Paxinou, Rocco Vidolazzi

Rocco e i suoi fratelli (1960): Katina Paxinou, Rocco Vidolazzi

 

Il capolavoro di Visconti, in anticipo sui tempi e precursore ed ispiratore di tante opere da venire, è stato accolto all'uscita da una certa ostilità, con la censura scatenata contro un film che metteva in scena senza sconti la violenza con la crudezza che le si addice. La scena dello stupro con le mutandine tirate per sommo scherno in faccia a Rocco causò non pochi problemi a Visconti. Secondo l'autore il film non vinse il Leone d'oro alla Mostra di Venezia per aver suscitato lo sdegno di alcuni ministri democristiani, che al termine della proiezione avrebbero commentato: “È uno schifo, una vergogna, un film che non può essere assolutamente premiato”. La scena all'Idroscalo venne in realtà girata sulle rive di un lago in provincia di Latina, perché le autorità non diedero il permesso di girare un omicidio nel luogo di gite e svago dei milanesi. Ancor più assurdo, quando appaiono i manifesti degli incontri di boxe con stampato il nome Parondi si vede sullo schermo uno strano luccichio, perché gli autori dovettero intervenire in post-produzione per occultare il nome originariamente scelto (Pafundi), in quanto la famiglia di un influente magistrato aveva fatto causa diffidandoli da usare il suo cognome; anche tutti i dialoghi dove si sentiva il cognome Pafundi vennero ridoppiati con Parondi.

 

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