Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film
Gli anni 80 sono stati effettivamente l'età dell'oro per il cinema di fantascienza. Qualche titolo: 1997: fuga da New York, Blade Runner, La Cosa, E.T. - L'extraterrestre, Terminator, Interceptor, La mosca. Ed arriviamo al 1987 che vede l'uscita di due pesi massimi di questo genere: Predator e Robocop.
Il tempo ha fatto giustamente guadagnare la fama di cult a questo gioiello diretto da Paul Verhoeven alle prime esperienze in terra americana. Tuttavia sequels (sempre più apocrifi), serie tv, e remake hanno sicuramente fatto più male che bene alla figura molto sfaccettata con cui era stato diretto il primo film, snaturandola e riducendola a un personaggio da fumetto (o da gadget: conservo ancora il giocattolo di Robocop che mi fu regalato da bambino)
Innanzitutto è da riconoscere che nonostante la spettacolarità delle scene d'azione (tutte magistralmente dirette), si percepisce l'approccio di un regista europeo: poco è concesso al fracasso fine a sè stesso, non ci sono inseguimenti infiniti o sparatorie interminabili, tutto è concentrato e, indubbiamente, è un pugno nello stomaco per lo spettatore. Ancora oggi è difficile da sostenere il martirio a cui è sottoposto il povero Murphy, e Clarence Boddicker è un cattivo che non si dimentica (Verhoeven spiega di essersi ispirato alla fisionomia di Himmler, che nella sua infanzia nell'Olanda occupata dai nazisti rappresentava il male assoluto). Altrettanto stupefacente la sequenza finale dove la vendetta di Murphy, proprio nel luogo dov'è stato massacrato, ha luogo.
É ormai celebre l'affinità tra Robocop e la figura di Gesù. Ancora più interessante nello svolgimento l'assenza di qualunque love story: l'unica figura femminile ad emergere è la collega di Murphy, Lewis, che il regista ha depurato di ogni caratteristica femminile, facendone un partner poliziotto mosso esclusivamente dal senso di amicizia nei confronti del collega di lavoro.
Memorabile inotlre il lavoro sul contesto sociale che annuncia il regista: la OCP, una megaditta che ha investito in "mercati tradizionalmente considerati privi di profitto: ospedali, prigioni, esplorazione spaziale" ha quindi preso il controllo della polizia, ne ha fatto un ente privato lasciandola senza le adeguate risorse a fronteggiare una città che ormai è alla mercè dei criminali. L'unica figura "positiva" ma che nei capitoli successivi non si rivelerà tale, è quella del Vecchio presidente della compagnia, che fa da contraltare al cinismo dei giovani rampanti, che ignorano la morte dei colleghi di fronte all'opportunità di successo in azienda (Bob Morton, il manager che fa approvare il progetto RoboCop, non fa trapelare alcuna simpatia, è anzi uno dei campioni dell'arrivismo aggressivo e cinico)
Il regista chiude il film con un grande momento di presa di coscienza di Robocop, che riconoscerà di essere Murphy; tuttavia non viene lasciato molto spazio al lieto fine: sebbene la banda di Boddicker sia sconfitta, il crimine per le strade c'è ancora e l'avidità della compagnia è tutta da combattere.
Degni di lode sia gli effetti speciali in stop motion che il magnifico makeup di Rob Bottin.
Una pietra miliare nella storia della fantascienza.
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