Regia di Fred Cavayé vedi scheda film
Quando metti sul piatto un regista affidabile quale dovrebbe essere Fred Cavayé (Anything for her), due protagonisti di buona, se non addirittura ottima, presenza come Vincent Lindon e Gilles Lellouche e un genere – il polar che abbraccia poliziesco e noir – che i francesi riescono a proporre con estrema facilità, dovresti avere tutti gli ingredienti necessari per intavolare un prodotto di sicuro pregio.
Eppure, Mea culpa non consegue l’obiettivo, nonostante possegga la rabbia necessaria e quei conflitti che scatenano l’inferno in terra, soprattutto per colpa di un’irruenza cinetica prossima a un action americano portato a limitare le funzioni cerebrali.
Tolone. Sono trascorsi alcuni anni da un incidente che ha cambiato per sempre la vita di Simon (Vincent Lindon), relegandolo fuori da quello che era il suo mondo, con solo l’amico, ex collega e agente Franck (Gilles Lellouche) rimasto al suo fianco.
Quando suo figlio Theo assiste malcapitatamente a un omicidio, diventando la nuova mira di una cosca criminale proveniente dall’est Europa, Simon decide di prendere la situazione in mano, nonostante la ritrosia dell’ex compagna Alice (Nadine Labaki). Proprio lui è l’unica speranza del piccolo per rimanere in vita.
Mea culpa è un’opera che costruisce basi solide per poi agire in maniera scomposta, perdendo completamente la misura, riscaldando anche troppo gli animi.
Rende bene l’idea di un inquinamento sociale che richiede soluzioni oltre i canali ufficiali, accumula ferite profonde, sia fisiche sia interiori, che soffocano al cospetto di una putrefazione morale dilagante.
Scolpita la situazione, il procedimento, per natura spietato e crudele, si scontra con un’evoluzione che fa acqua da tutte le parti in quanto a coerenza, partendo alla questione centrale che vede una banda criminale pronta a tutto pur di eliminare un testimone, producendone contemporaneamente decine di altri.
Anche volendo sorvolare su quest’aspetto, comunque talmente chiaro da non offrire scusanti appropriate, Fred Cavayé rende chiara la sostanza in ogni modo. Spiccio nei modi, esaspera eccessivamente i rapporti incriminati e quando l’azione, comunque ben superiore al repertorio medio cui siamo abituati, prende il sopravvento, denota una spiccata predisposizione per la concitazione relegando in secondo piano le geometrie logiche.
Un difetto che diventa marchio di fabbrica, con l’aggiunta di varie superficialità poste al servizio della cinetica, elementi che volgono all’aumento del livello di immedesimazione, trascurando la pulizia formale.
Per queste motivazioni, anche Vincent Lindon, solitamente una garanzia, finisce per essere troppo animato, cane bastonato ed eroe implacabile senza sfumature, mentre Gilles Lellouche pare decisamente più a suo agio, comunque facilitato dall’essere meno soggetto alle forze distorcenti del racconto.
Paventando una vena perennemente rigonfia, Mea culpa risulta essere una pellicola promiscua, dura nella sua estrema sintesi ma con troppo materiale superfluo e controproducente attorno.
Ridondante e galvanizzante, enfatico fino a diventare inopportuno.
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