Regia di Tommy Lee Jones vedi scheda film
Nel 2005, Tommy Lee Jones aveva esordito positivamente alla regia con Le tre sepolture e nove anni dopo torna a dirigere un film, nuovamente un western, con The homesman (in mezzo, ha curato anche il televisivo The Sunset limited).
Ancora una volta, è evidente come l’esperienza registica non sia frutto del caso; il suo western interiorizzato sfida le prassi narrative, mettendo in mostra personalità, uscendone con più allori – non a Cannes dove comunque già essere invitato in concorso, è un riconoscimento – che contestazioni.
Territori della Frontiera americana, 1854. Mary Bee Cuddy (Hilary Swank) è una donna sola e indipendente che assume un incarico impervio, ossia trasportare tre donne uscite di senno nel lontano in Iowa.
Poco dopo la partenza, salva da morte certa l’inaffidabile George Briggs (Tommy Lee Jones) che convince, previa ricompensa, a seguirla; il viaggio presenta pericoli continui, soprattutto George ha l’occasione per capire, senza forzature, qualcosa in più sulla vita.
The homesman è prodotto da Luc Besson, ma, fortunatamente, siamo in tutt’altri ambiti rispetto al cinema ipercinetico che ha supervisionato prevalentemente negli ultimi anni.
Basta l’introduzione per tranquillizzare: scenari vasti, che presentano neve e deserto, esseri umani alle prese con solitudine e violenza, e lo score di Marco Beltrami che funge da perfetto accompagnamento.
Queste condizioni, acquisiscono respiro grazie alla fotografia marcata di Rodrigo Prieto, mentre entrano in gioco due anime segnate da esperienze diverse ma entrambe rigettate dalla comunità.
Il loro diventa un viaggio interiore, oltre che fisico, dalle tappe imprevedibili; Tommy Lee Jones rifugge ogni stereotipo di comodo, non concede niente allo spettacolo, dirada le atmosfere, per poi elaborare punti di rottura devastanti, lasciando sgomenti per alcune secche risoluzioni.
È anche vero che alcuni raccordi sono difficoltosi, ma la storia permette giustificazioni; luoghi pericolosi, la vastità degli spazi con un vuoto imponente (eccezionale l’albergo blu in mezzo al nulla), una donna indipendente con l’ossessione di maritarsi, uomini egoisti, il lume della ragione che si spegne, non solo per quelle creature svuotate dalle disgrazie, e un uomo che, senza nemmeno volerlo, si trova nell’imprevista condizione di essere partecipe nella vita altrui.
Mary Bee e George diventano così due personaggi esemplari, grazie anche a due interpreti eccezionali: Hilary Swank, occhi lucidi e carattere, coraggio e disperazione, canta (letteralmente) e porta la croce, Tommy Lee Jones attua una trasformazione poggiata su sguardi e azioni emblematiche ed evocative (vedi il finale). Intorno a loro, comparse d’eccezione aggiungono altre note, da una bonaria Meryl Streep, a sua figlia Grace Gummer con lo sguardo perso nel vuoto, più uomini meschini, ricavati dai tratti di James Spader e Tim Blake Nelson, e di fede, John Lithgow, che voltano lo sguardo altrove nel momento del bisogno.
The homesman è un’opera matura, che sfida le convenzioni fino in fondo - un finale danzante nel delirio - raccontando di tristezza (infinita) e perdizione, di coraggio e resilienza, di quella follia di cui nessuno vuol sentir parlare, con anche quella gentilezza che non salverà il mondo, ma almeno può contribuire a migliorarne un pezzo, dove una buona azione serve anche per guardare oltre, ma non è detto che l’orizzonte sia poi così lontano.
Un tappeto fluttuante di sentimenti deflagranti (su sfondo western).
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