Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
E’ un mondo perduto quello di Marco Bellocchio, pieno di rimandi, di echi, di tempi e vite passate. Perduto e rinchiuso dentro la poetica del regista, la sua storia personale e artistica, dentro la sua famiglia (Piergiorgio, Elena, Alberto: presenti!), i suoi lutti (un fratello morto suicida), i luoghi dell’infanzia (Bobbio). In questa dimensione interiore, inaccessibile senza alcune chiavi, Bellocchio rielabora, come in un percorso psicoanalitico o un’esperienza onirica, il proprio vissuto, trasformandolo in immagini: dolorose come l’espiazione di una colpa o un peccato, forse, mai commessi; grottesche come il volto vampiresco di un uomo ombra, capace di controllare, di nascosto, le sorti e le vite di un intero paese. Inquadrature come dipinti, nel cogliere la luce che scende sulle case, il campanile, il ponte del borgo. Immagini di improvvisa bellezza, di un corpo martoriato che ritrova la propria meravigliosa carnalità nell’attimo stesso di una impossibile liberazione, come accadeva per Aldo Moro in Buongiorno, notte. Immagini banali, del mondo come è adesso, senza profondità, superfici effimere, pelle, volti, vestiti e sguardi pronti a truffarti.
Sangue del mio sangue è un gioco di specchi un attimo prima che vadano in frantumi, un mondo chiuso in sé stesso, dove il regista ci fa entrare con la speranza (o forse no) che anche gli spettatori, nel corso degli anni, ne abbiano saputo qualcosa, perché altrimenti finiamo pure noi per perderci, anche se le immagini sono sempre lì, pronte a guidarci, anche senza sapere dove stanno andando. Un mondo perduto, proprio perché nessuno sa più dove trovarlo, se sia mai esistito, un mondo smarrito, dove alla fine, nothing else matters.
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