Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Alla fine della seconda guerra mondiale la sedicenne Anita, ebrea ungherese scampata ai lager, ripara in casa della zia Monika. Qui intraprende una relazione con suo zio (fratello del marito di Monika), che la costringe ad abortire. Lei, ben cosciente di avere già subito fin troppe torture, si rifiuta e scappa in Palestina.
A scanso di equivoci: essere ebrei è una condizione umana come tante altre; se si dà per scontato questo assunto, proprio per questo un film come Anita B. può risultare a tratti quantomeno fastidioso. Tratto dal romanzo vagamente autobiografico Quanta stella c'è nel cielo di Edith Bruck (anche sceneggiatrice insieme al regista, a Nelo Risi suo marito, da lunghissimo tempo assente dal mondo del cinema, e con la collaborazione di Iole Masucci), questo lavoro non fa mistero del suo schieramento pro-sionista (benissimo), ma calca la mano pesantemente sul ruolo 'salvifico' dell'ebreo sul pianeta Terra, sull'impossibilità di perdonare i nemici e sulla necessità di perpetuare a ogni costo l'ebraicità in terra palestinese. Non è sbagliato: è pedante, è pesante, è ridondante. Al di là delle considerazioni personali, questi sono i dati di fatto; che Roberto Faenza sia ebreo, poi, è un dettaglio non insignificante nel contesto. Inoltre di film e di romanzi contro i lager e sul valore della memoria ne sono stati fatti tanti, da artisti di ogni religione (o atei, come d'altronde Faenza stesso si dichiara); qui c'è però quel qualcosina di più che lascia perplessi, come detto. La giovane Eline Powell è la protagonista, sufficientemente efficace; nel cast anche Andrea Osvart, Antonio Cupo, Jane Alexander, Robert Sheehan, Nico Mirallegro e l'immancabile Moni Ovadia. Confezione simil-televisiva, d'altronde dietro al progetto c'è anche la Rai; produzione italo-ceco-ungherese. 4/10.
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